I colloqui per la formazione di un governo di larghe intese in Germania sono finiti nel peggiore dei modi, con il leader dell’FDP Christian Lindner che ha lasciato il tavolo delle trattative perché non ha trovato «nessuna base per la fiducia».
Il che significa che Angela Merkel ha un grosso problema, dopo che il suo partito CDU ha mancato la maggioranza necessaria a governare nel voto politico dello scorso settembre. Così grosso che già in molti vedono in questo atto la fine dell’era Merkel.
La cancelliera ha annunciato che incontrerà a breve il presidente Frank-Walter Steinmeier, per comunicargli formalmente il fallimento dei negoziati. Il presidente, che ha il potere di indire elezioni anticipate, potrebbe però accettare un governo di minoranza, con la CDU che si allea con i Verdi. Anche perché i socialdemocratici del perdente Martin Schultz hanno già fatto sapere che escludono un ritorno a un governo di coalizione. Ma la strada è stretta.
Quella che ci troviamo di fronte è perciò una crisi politica senza precedenti per la Germania, che non si è mai trovata in simili incertezze dal dopoguerra a oggi. Di certo, il quarto governo Merkel è nei fatti già abortito. E le urne sono dietro l’angolo. Oltretutto, non è detto che a condurre la CDU a un nuovo “voto riparatore” sarà la stessa cancelliera. La quale ha disertato lo scorso vertice dei leader UE in Svezia e adesso vive un momento di «profonda riflessione», che potrebbe preludere a dimissioni choc.
La sua uscita di scena significherebbe un reset politico in Europa e l’inizio di tempi incerti per l’intera Unione. In mancanza di una leadership forte come quella rappresentata da Angela Merkel, ci si aspetta cioè una corsa al “riarmo politico” di quanti nel cerchio magico dei poteri forti europei, a cominciare dal presidente francese Emmanuel Macron, ambiscono a un ruolo guida per un’Europa che negli ultimi anni è stata notoriamente a trazione tedesca.
Non solo. La Germania e la Merkel nel bene e nel male hanno rappresentato un simbolo di stabilità nel difficile percorso di uscita dalla crisi economica in Occidente. Adesso, tutto questo non c’è più. E, se sono in molti a gioirne, l’Italia non può permettersi di essere tra questi. Visto che Roma non potrà e non saprà approfittare in alcun modo della situazione.
Il perché è tutto nel nuovo sistema elettorale votato dal parlamento italiano, che il prossimo marzo condurrà verosimilmente a esiti non dissimili dal quadro politico tedesco: cioè a una maggioranza risicata di un partito che, proprio come la CDU della Merkel, non ha alcuna possibilità di governare, se non in coalizione con un altro. E che, ai primi capricci del partner politico, potrebbe cadere, costringendo il presidente della Repubblica a ulteriori consultazioni e il paese a probabili nuove elezioni in meno di un anno.
Insomma, a ben guardare, nell’odierna compagine politica europea, i sistemi elettorali senza doppio turno rappresentano un vero salto nel buio e sono più spesso garanzia d’instabilità e non invece di alta rappresentatività. Che rimane una chimera, almeno in Italia, dove i piccoli partiti rappresentano particolari interessi, quasi sempre del tutto personali, e quasi mai quei valori che esigono i cittadini che li votano. Motivo per cui il futuro politico italiano farebbe bene a guardare con molta attenzione al caso di “Fräulein Merkel” per non ritrovarsi senza un’exit strategy il giorno dopo il risultato delle urne.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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