È bastato poco più di un anno al principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman (MBS) per distruggere e far risorgere Awamiyah, cittadina ribelle situata lungo la costa orientale dell’Arabia Saudita. Stando a quanto riportato dal settimanale The Economist, nell’estate del 2017 MBS ha ordinato raffiche di bombardamenti aerei sui quartieri della città vecchia per stanare e costringere alla resa circa duecento miliziani sciiti. Terminati i raid, nel febbraio di quest’anno il principe ha inviato sul posto squadre di ingegneri, scavatori e gru per ricostruire tutto. Sei mesi dopo dove erano piovute le bombe sono sorte nuove strade, centri commerciali e un piccolo ospedale. Inoltre, è stata prevista anche un’uscita della nuova autostrada che attraversa la Provincia Orientale, consentendo così ad Awamiya di non essere più isolata dal resto della costa. Entro il marzo 2019, questa operazione di lifting per cui sono stati spesi finora 64 milioni di dollari sarà completata.
Con la bonifica di Awamiyah MBS punta a lanciare un messaggio preciso agli sciiti che vivono in Arabia Saudita (circa 2-3 milioni): trattamento alla pari rispetto alla maggioranza sunnita in cambio di lealtà assoluta a Casa Saud. Per riuscire nell’intento MBS ha depotenziato la temuta polizia religiosa saudita, a cui per lungo tempo suo padre, re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud, aveva lasciato carta bianca nello stringere la morsa attorno agli sciiti tacciati di essere kuffar (“infedeli”).
Ma non solo. MBS ha anche affidato per la prima volta un ministero del governo a un esponente politico sciita, seppur senza portafoglio. Ha fatto sì che all’interno del consiglio che si occuperà dell’amministrazione di Neom, la futuristica città high-tech per la cui costruzione sono stati investiti 500 miliardi di dollari, ci fosse uno sciita. Ha fatto convocare un atleta sciita nella nazionale di calcio. Ha fatto cancellare motti anti-sciiti dai libri di scuola e costretto alla moderazione nei confronti della minoranza le reti televisive. Ha infine fatto progettare la prima moschea sciita a Riad, le cui porte dovrebbero essere aperte entro i prossimi tre anni.
La ricostruzione di Awamiya non è però un’azione rivolta solo agli sciiti che vivono in Arabia Saudita, ma anche agli sciiti del sud dell’Iraq. «Possiamo ricostruire anche le aree depresse dell’Iraq meridionale», ha detto in proposito un funzionario saudita sentito da The Economist.
Al contrario dei suoi predecessori alla guida del Regno saudita, che in Iraq hanno sempre appoggiato la minoranza sunnita, MBS ha mostrato di non aver alcun timore a “corteggiare” gli sciiti nel chiaro tentativo di allontanarli dalla sfera di influenza degli ayatollah iraniani. Per farlo ha già ospitato a Riad religiosi sciiti iracheni, ha in programma di far partire aerei carichi di pellegrini sciiti nelle città sante irachene e di investire miliardi per ridare ossigeno alle industrie del sud del Paese.
La sua è in pratica una manovra finalizzata ad aggirare lo strapotere che Teheran ha da sempre avuto sulle comunità sciite sparse in tutto il Medio Oriente. E per portarla a compimento MBS sta facendo appello al senso di nazionalismo degli arabi sciiti aizzando all’odio e al sospetto nei confronti dei persiani. «Lo sciismo è sorto nel mondo arabo mille anni prima dell’Iran», spiega a The Economist un principe saudita a cui è stato assegnato l’incarico di lavorare a questa campagna. «Usavamo l’Islam per resistere al nazionalismo, ora facciamo il contrario».
Ad Awamiyah gli sciiti appartenenti a famiglie benestanti hanno ben accolto gli sforzi di MBS. La città vecchia “liberata” dall’aviazione saudita era infatti disseminata di baraccopoli dove a comandare erano criminali armati e spacciatori di droga, fedeli all’antico culto sciita degli
Shirazis, a cui in passato in questa regione dell’Arabia Saudita avevano aderito soprattutto contadini privati delle loro terre. È sempre qui che, a inizio 2016, ci furono vibranti proteste contro Casa Saud dopo l’uccisione dell’imam sciita Nimr al-Nimr.
Non tutti però ad Awamiyah sono soddisfatti di quanto sta facendo MBS. Dopo i bombardamenti, i bulldozer hanno marciato su un fitto crocevia di antichi palazzi e viuzze la cui storia era antica di oltre 400 anni. Il vecchio souk è stato demolito e sostituito da una serie di negozi. I palmeti sono stati sradicati. Entrare ad Awamiya, oggi, è come mettere piede in una città palestinese della West Bank. Residenti e visitatori devono passare i controlli di più checkpoint, mentre auto blindate pattugliano ogni angolo della città. «Il prezzo dell’integrazione è stato una perdita di identità», ha spiegato un uomo che vive nelle vicinanze di Awamiyah.
In generale, c’è poi chi sostiene che la condizione degli sciiti sauditi in realtà non stia migliorando da quando al potere c’è MBS. I piani alti delle massime autorità religiose rimangono inaccessibili così come i tribunali nazionali, le forze di polizia e la rete diplomatica. Un senso di inferiorità acuito dagli orrori della guerra in Yemen, dove le forze militari saudite non stanno lesinando attacchi spietati contro le città a maggioranza sciita in mano ai ribelli Houthi. Ci sono poi decisioni di cui difficilmente si viene a conoscenza oltre i confini sauditi, e che rivelano l’altro volto di MBS. È il caso di una donna sciita condannata alla pena di morte per aver protestato contro la Casa Reale. Segno che, al netto della propaganda saudita, l’integrazione degli sciiti nel Regno sarà un percorso lungo e tortuoso.
Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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