In Arabia Saudita diversi soldati dell’esercito saudita sono rimasti feriti nel corso di un attacco contro una base della Guardia Nazionale nella città occidentale di Taif, situata circa 70 km a nord-est rispetto a La Mecca, la città sacra del mondo musulmano. L’azione è stata condotta da almeno due uomini che hanno prima ucciso un poliziotto, preso possesso della sua auto di servizio e delle sue armi e, in seguito, attaccato la base. L’agente ucciso stava dirigendo il traffico lungo una strada, situata nei pressi della base, quando è stato pugnalato da uno degli assalitori. È morto poco più tardi in ospedale per le gravi ferite riportate.
Secondo l’agenzia di stampa governativa saudita Sabq al termine della sparatoria all’interno della base militare uno dei due attentatori è stato ferito e catturato, mentre l’altro è riuscito a fuggire. Il ministero dell’Interno saudita non ha fornito informazioni esatte né sul numero dei soldati feriti né sull’esito della caccia al fuggitivo. L’azione al momento non è stata rivendicata. Ma, anche di recente, sia lo Stato Islamico del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi che Al Qaeda hanno lanciato un appello ai loro seguaci affinché colpiscano obiettivi militari in Arabia Saudita.
La minaccia di ISIS e le tensioni tra sunniti e sciiti
«Abbatteremo la casa dei Saud» è il motto più usato dai detrattori della famiglia reale saudita che lo Stato Islamico ha fatto propria negli ultimi anni, nonostante in origine fosse un leit motiv anche di Al Qaeda, che in Arabia Saudita in passato ha già compiuto non pochi attentati.
I Saud, che ironicamente i miliziani storpiano in “Saul” (primo re del Regno di Israele secondo i testi sacri) sono essi stessi una componente ineliminabile del Paese, la petro-monarchia di stampo familistico che ha reso grande l’Arabia Saudita ma che non ha fatto seguire al successo economico un progresso in campo sociale e di diritti civili, salvo la svolta annunciata da quando Re Salman ha designato quale suo erede al trono il giovane principe Mohammed Bin Salman.
Nonostante le prime concrete aperture già concesse dall’erede al trono, l’Arabia Saudita continua a essere attraversata da tensioni latenti, soprattutto all’interno della comunità sciita. Una comunità fatta principalmente d’immigrati che vivono marginalizzati e perseguitati, ma che è tuttavia fondamentale per le attività petrolifere, visto che una parte considerevole degli sciiti vive e lavora proprio nei grandi distretti petroliferi del paese che affacciano sul Golfo Persico.
Per capire le frizioni tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita in Arabia Saudita, basta ricordare l’esecuzione pubblica il 2 gennaio del 2016 di Nimr al Nimr, leader sciita originario di Awamiyya, al centro della regione di Qatif, reo di aver guidato le rivolte del 2011 e di aver denunciato i soprusi della casa reale nei confronti della minoranza sciita. Nimr al Nimr predicava la secessione della regione sciita di Qatif dal resto del Paese, incoraggiava il popolo alla sollevazione contro il regime dittatoriale dei Saud e paventava un abbraccio simbolico con l’Iran. La sua morte ha portato da un lato a forti proteste e tensioni con Teheran, ma soprattutto ha spinto il governo saudita a usare la mano ancor più pesante contro la comunità sciita, meno del 12% dell’intera popolazione, con un crescendo di restrizioni e persecuzioni che da allora non si sono più fermate.
In questo scenario il Califfato continua a vedere nel Paese wahaabita il limite all’espansione del salafismo sunnita e, soprattutto, il responsabile del tracollo economico dello Stato Islamico, da quando anche Riad ha chiuso i rubinetti dei finanziamenti (sia pur privati) in direzione di Raqqa e Mosul, indispensabili per proseguire il progetto califfale. Nonostante la sconfitta militare dello Stato Islamico in Siria e Iraq, Al Baghdadi non ha abbandonato il sogno di prendere il controllo dei luoghi simbolo dell’Islam, La Mecca e Medina, impresa realizzabile solo abbattendo la dinastia Saud, considerata dai sunniti custode delle due moschee.
Cosa succede attorno a Mohammed Bin Salman?
Quest’ultima sparatoria a Taif arriva in settimane particolarmente tese per l’Arabia Saudita. Nonostante all’esterno non trapeli nulla, continua ad aleggiare sospetti su quanto avvenuto la sera del 21 aprile scorso, quando vicino al palazzo reale a Riad si udirono decine di colpi d’arma da fuoco. Allora le autorità saudite parlarono di un drone giocattolo non identificato che si era avvicinato troppo alla residenza reale. Fonti non confermate hanno invece raccontato di un tentativo di colpo di Stato fallito e di ferite riportate dallo stesso Mohammed Bin Salman. Non a caso da allora l’erede al trono saudita non è più apparso in pubblico. Quale sia la verità rimarrà però un mistero, quantomeno per parecchio tempo.
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