Accetta la sfida, ma scappa in Belgio. Ecco la singolare risposta ai giudici di Madrid da parte di Carles Puigdemont, il leader catalano che ha promosso e poi gettato nel ridicolo la sortita indipendentista della Catalogna. Raggiunto da un mandato di arresto europeo da parte della procura spagnola, il novello Davide anziché battersi contro Golia se l’è data a gambe e si è rifugiato a Bruxelles, evitando di affrontare con dignità e onore il suo destino. Che peraltro non poteva esimerlo dalle manette, visto la legge spagnola parla chiaro: alla sedizione, lo stato risponde con la galera. Ma la supponenza tipica dei prepotenti, deve avergli offuscato la vista e sciolto le gambe.
Meglio sarebbe stato, da parte sua e dei suoi sodali, conoscere le regole democratiche vigenti in Spagna, prima di avventurarsi in una battaglia persa in partenza. Perché non bastano le buone ragioni e le piazze piene per ottenere una secessione. Chiedere agli scozzesi o agli irlandesi per questo. O se si vuole ai baschi, tanto per non scomodare i Balcani. In uno stato di diritto, se non si seguono le leggi e se non vi sono accordi consensuali, occorre ben altro che un referendum autocelebrativo per rendersi indipendenti. E non si può poi gridare alla dittatura solo perché la propria prepotenza non ha prevalso sugli altri.
Quello di Puigdemont è forse il più deludente dei casi politici degli ultimi anni. Una vergogna per il proprio paese e per quanti in Catalogna desideravano una separazione dignitosa, magari anche solo una forma di autonomia superiore a quella attuale. Tutto questo non è più possibile. L’occasione è stata gettata al vento dai leader catalani. Hanno prevalso la cattiva politica e la viltà, complice il debole governo di Madrid. Carles Puigdemont e i suoi hanno così inscenato una pantomima che ha infine raggiunto la capitale d’Europa, dove oggi a essere ostaggio non è certo il leader catalano, ma gli altri rappresentanti dei paesi membri. Che tra un imbarazzo e l’altro, non sanno bene che posizione prendere.
Per fortuna, spiegano dal Belgio, il mandato di arresto europeo «è una questione esclusivamente giudiziaria» e nulla possono i governi. La magistratura, insomma, ancora una volta dovrà sostituirsi alla politica che non decide (ricorda qualcosa agli italiani?) e agire in sua vece per il bene del popolo.
Tuttavia, neanche questo contrappeso del potere costituito lascia al sicuro i cittadini europei, per lo più attoniti per quanto sta accadendo. Cavilli giudiziari e astuzie avvocatesche domineranno senz’altro la scena nelle prossime settimane. Più o meno sino al voto del 21 dicembre – quando cioè Madrid ha stabilito di eleggere il disciolto parlamento catalano – che metterà fine al patetico tentativo di un gruppo di politici giacobini di sovvertire le regole democratiche con il populismo più cialtrone.
Sperando che tutto questo venga dimenticato presto, annacquato dallo spirito del Natale, e non conduca invece a una stagione di insensati atti di violenza e ribellione. Che sono sempre dietro l’angolo. Specie quando qualche ignorante grida alla “libertà per i prigionieri politici”. Cosa che Puigdemont non potrà mai essere, perché ha preferito scappare per sottrarsi alla giustizia.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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