Venerdì pomeriggio un pacco bomba pieno di chiodi, viti e bulloni, è esploso in rue Victor Hugo, davanti a una panetteria nel centro di Lione. La firma lascerebbe pochi dubbi, infatti la galassia islamista sul web ha subito festeggiato l’evento. Il bilancio fortunatamente non è quello al quale siamo tristemente abituati. Non ci sono state state vittime, sono almeno 13 i feriti e per fortuna non in gravi condizioni. Tra loro c’è una bimba di otto anni. I testimoni hanno raccontato che il pacco sarebbe stato lasciato da un uomo arrivato in bicicletta con il volto coperto e con occhiali scuri, tra i 30 e i 35 anni. L’uomo indossava una maglietta nera e pantaloni corti di colore chiaro. Non si capisce ancora se la bassa carica di esplosivo sia dovuta alla mancanza di nozioni di chi ha assemblato il paccco oppure se l’obiettivo fosse causare solo dei feriti.
Se il responsabile non verrà identificato nelle prossime 48-72 ore, arrestare il colpevole per le autorità francesi sarà come cercare un ago in un pagliaio. Nella regione di Lione, come in altre città dell’Esagono, ci sono 22 moschee il cui orientamento religioso è dichiaratamente fondamentalista. Dopo gli attentanti di Parigi, il governo disse che avrebbe chiuso tutte le moschee dove si predicava l’islam nella sua forma più estrema, ma in verità poco è stato fatto visto che dall’ottobre 2017 su 100 luoghi di preghiera gestiti dai fondamentalisti salafiti ne sono stati chiusi solo sette. Non si tratta solo di mancanza di volontà perché le difficoltà che si incontrano nel percorso sono reali. Prima di tutto, il salafismo, così come la fratellanza musulmana, benché pericolosi, non sono movimenti banditi in Francia. La loro messa al bando viene ciclicamente proposta dai partiti della destra francese, ma le sinistre e molti intellettuali si oppongono.
In ogni caso, per chiudere una moschea occorre che venga provato che l’imam responsabile del luogo di preghiera invochi alla jihad o che comunque tenga sermoni intrisi di odio. Senza prove documentali, testimonianze credibili oppure registrazioni su file audio e video, la chiusura della moschea viene annullata in tribunale. Ci sono poi le moschee che non sono state chiuse in modo da monitorare quegli elementi che incitano alla guerra santa ma anche per evitare che, in seguito alle chiusure, diventi impossibile sapere dove si riuniscono. Il governo francese ha confermato le indiscrezioni circolate nelle scorse settimane in merito ai 130 foreign fighter, uomini, donne e 54 minorenni, che sono stati rimpatriati nelle scorse settimane dal “Siraq”. Ad aspettarli in patria e nelle carceri dell’Esagono ci sono 943 jihadisti che scontano la loro pena detentiva, senza contare coloro che hanno abbracciato tra le sbarre la versione più rigorista del Corano. Fuori, a fargli compagnia, ci sono quasi 300 foreign fighter rientrati in patria (ne sono partiti almeno 800) e l’ esercito delle cosidette “fiche S”, stimati in circa 30.000 unità. A preoccupare l’opinione pubblica ci sono le ultime dichiarazioni del ministro della Giustizia Nicole Belloubet, che in un’intervista pubblicata mercoledì da “Le Monde” ha spiegato: «Attualmente i fondamentalisti islamici detenuti sono 943 e possiamo stimare che ogni anno 280 persone si radicalizzano in carcere. Nel 2019 trenta terroristi islamici usciranno dal carcere ed entro la fine del 2021 verranno rilasciate altri 107 detenuti».
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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