La paura è in natura uno dei sentimenti più potenti, un istinto innato che tende all’autoconservazione e perciò decisivo nel condizionare il vivere quotidiano. Una risposta spontanea al caos globale, ma anche una debolezza su cui è facile fare leva. Al punto che è diventato un buon affare. Se, infatti, da una parte è il terrorismo a sfruttare abilmente tale condizione umana, dall’altra anche i governi, la politica e i media hanno contribuito sensibilmente a costruire l’idea che il terrore sia ovunque, anche quando non lo è.
Sulla base di fatti concreti (questo è sicuro), si è impulsivamente scelto di rispondere alla domanda “come possiamo prevalere e sentirci al sicuro?” con più controlli, più forze di polizia, più sistemi di sicurezza e più leggi repressive. In questo modo, si è creduto di poter arginare il bisogno comune di sentirsi protetti. Ma protetti da cosa? Questa è la grande domanda.
Certo, viviamo un’epoca in cui piccoli o grandi gruppi terroristici si vanno diffondendo in molte regioni del mondo, mentre in altre sono in corso guerre capaci di mutare confini e cambiare dinamiche economiche. Questo è un fatto.
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Al contempo, ripetute crisi politiche e deboli amministrazioni tengono in ostaggio molte nazioni, soprattutto in Europa. Dove le rivendicazioni indipendentiste, il declino dei grandi partiti e gli estremismi populisti avanzano nelle maggiori competizioni elettorali, spia di un disagio montante tra la popolazione. Per non parlare della complessa crisi dei migranti, che ha reso il Mediterraneo un’area di crescente instabilità, o delle sofferenze del continente africano, o del malessere sociale del Sudamerica. E della crisi nucleare nell’Est asiatico, complice un’America dove è al potere una delle presidenze più divisive della storia repubblicana.
Sono questi i veri mali del nostro tempo, una polveriera pronta a esplodere sotto la nuova politica anti-iraniana di Donald Trump, l’espansione russa decretata da Vladimir Putin, il rallentamento dell’economia cinese, l’insuccesso degli accordi per frenare il cambiamento climatico.
Ma ancora oggi si preferisce mettere la testa sotto la sabbia per non vedere. Perché la paura si vende bene e si racconta meglio. Così, ciascuno risponde alla sfida della sicurezza come più gli conviene: con l’arma della tecnologia e della propaganda, con la dittatura e la repressione del dissenso, con la definitiva disintegrazione della privacy. Eppure, la soluzione a tutto questo deve trovarsi altrove. Non solo nel business della paura.
Il numero zero di Babilon riflette su tutto ciò e sulle conseguenze geopolitiche dell’era del terrore.
Luciano Tirinnanzi
Direttore di Babilon, giornalista professionista, classe 1979. Collabora con Panorama, è autore di numerosi saggi, esperto di Relazioni Internazionali e terrorismo.
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