Mohammed_Bin_Salman

È il tempo dei «Donbass multipli», per riprendere una felice definizione dell’analista Marco Florian. Vediamone uno che per sincronia con l’Ucraina è estremamente eloquente, il Bahrain. Questo piccolo Stato dal 2011 viene messo sotto torchio dai sauditi. Essi intendono difendere dalle infiltrazioni democratiche, propagandate come manovre persiane, la piazza in rivolta. Il Bahrain viene allora occupato militarmente da 5mila unità miste saudite-emiratine e nel giro di un decennio si appaia agli Emirati Arabi nel processo di «normalizzazione» delle relazioni diplomatiche con Israele.

Inoltre si tende a dimenticare che il Bahrain ha delle analogie con il Donbass come «faglia» contesa agli Stati Uniti ma senza successo dalle potenze dispotiche. Al contempo i rapporti della Cina e della Russia con l’Arabia Saudita si sono rafforzati perché Pechino deve stoccare sempre più carburante. Notiamo per inciso che gli oligarchi sopravvissuti a Mosca si sono appoggiati agli Emirati, che pure sono impegnati sul fronte opposto con gli Stati Uniti nell’acquisto degli F35.

In tutto ciò la politica europea marcia divisa e sul fronte energetico il Qatar segna un punto a suo favore acquisendo la fetta di mercato tedesco per il gas liquefatto: la compagnia al largo delle coste texane che servirà la Germania dal 2024 è infatti una joint venture con azionariato per il 70% qatariota e per il 30% Exxon Mobil. Una bella ripresa al netto dei danni d’immagine provocati dagli scandali più (o meno) recenti del regime di Doha. Quanto ai dati sono in chiaro sul sito della Cooperazione del Golfo: li si può poi interpretare.

La produzione di gas naturale nel 2021 è stata di 447.7 bilioni di metri cubi, +12% rispetto al 2018. Mentre la produzione di petrolio ha registrato un calo dello 0,6% rispetto al 2014, attestandosi nel 2021 a 17,8 bilioni di dollari (ma comunque in ripresa, +2,3% rispetto al 2020 segnato dal Covid). Non dimentichiamo poi l’apporto del comparto elettrico: ha raggiunto 671,9 Terawatt ora nel 2021 con un +7,5% rispetto al 2018. Da par suo Bin Salman negli ultimi quattro anni si è confrontato con il relativo insuccesso della penetrazione di influenza in Libano e con una sanguinosa vittoria di Pirro in Yemen, mentre il suo profilo istituzionale è stato influenzato dall’affaire Khashoggi del 2018.

In Israele prevarrà il momentum dettato dai sentimenti di alleanza con la comunità ebraica d’Ucraina? Oppure, sul lungo corso, si attesterà su una politica più ristretta all’arco siriano che Gerusalemme intende continuare a controllare tramite il placet di Mosca? Com’era facilmente immaginabile la campagna di mobilitazione psicologica a favore del primo scenario ha ingranato molto prima della seconda alternativa, almeno su scala globale. Da fine 2022 poi sono ripresi gli addestramenti congiunti dell’aeronautica di Israele e degli Stati Uniti per simulare attacchi a impianti nucleari iraniani.

Torniamo però agli Accordi di Abramo: col nuovo governo israeliano Bin Salman ha potuto rimettere le mani sul sistema Pegasus. Ma ricordiamo anche le parole dell’ex direttore, e ultimo a esserlo anonimo, del Mossad Shabtai Shavit: gli Accordi sono stati utili nel post-pandemia per garantire agli israeliani delle buone vacanze ad Abu Dhabi. Il resto sfugge ed è politica diplomatica tutt’altro che fine: in estrema sintesi, oltre a Pegasus i sauditi hanno acquisito gli F35.

A cascata anche il Marocco ha beneficiato della normalizzazione delle relazioni con Israele in senso lato, con l’appoggio finalmente ottenuto da parte degli Stati Uniti sulla sempiterna questione del Sahara occidentale (vedi Pillar, Is Israel Slowly Building a Military Alliance in Persian Gulf?, National Interest, 14 marzo 2021). Si ricrea insomma un sistema in Medio Oriente che assomiglia a quell’Europa sulla soglia del 1914 con il tavoliere di inimicizie e di alleanze fatte a incastro.  In questo scenario quel che è chiaro è che, come ha detto l’analista Marco Rota, «una volta esaurito lo sforzo russo – e soprattutto le sue risorse – sul fronte europeo orientale, il Bahrain riacquisterà presto il suo posto al sole quale perno degli Stati Uniti nella geopolitica di quel quadrante».