Dopo decenni di grande vicinanza politica e affari economici, i rapporti diplomatici tra il Belgio e l’Arabia Saudita si stanno progressivamente deteriorando. Pochi giorni fa è stata confermata una notizia che doveva restare riservata e che non mancherà di suscitare polemiche: nell’ottobre scorso una delegazione di diplomatici belgi si è recata a Riad per informare il governo saudita che Bruxelles ha deciso di cambiare marcia nei rapporti con Casa Saud e, più in generale, con il mondo sunnita.
In particolare, i belgi intendono revocare l’accordo che nel 1967 Re Baldovino siglò con Re Faisal (l’ultimo a sinistra nella foto in apertura) ufficialmente per ringraziare i sauditi per le ingenti donazioni devolute ai famigliari delle vittime di un incendio che nel maggio di quell’anno distrusse i Grandi Magazzini de l’Innovation a Bruxelles (323 morti). Ciò che in realtà prevedeva l’intesa era che Riad avrebbe garantito al Belgio forniture di petrolio a prezzi di favore in cambio dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole del Paese nord-europeo e dell’affitto per 99 anni del Pavillon du Cinquantenaire. L’edificio, che si trova a duecento metri dal Palazzo Schuman e dal quartier generale dell’Unione Europea, venne trasformato con importanti investimenti dall’Arabia Saudita nella Grande Moschea del Cinquecentenario.
In base al patto del 1967 Riad avrebbe garantito a Bruxelles forniture di petrolio a prezzi di favore in cambio dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole del Belgio e dell’affitto per 99 anni del Pavillon du Cinquantenaire
La strategia di conquista di spazi in Europa da parte Re Faisal era già iniziata nel 1962, quando questi fondò la Lega islamica mondiale, ovvero il “braccio armato” – caritatevole e finanziario – dell’Islam rigorista in tutto il mondo. Da quel momento i sauditi finanziarono la costruzione di migliaia di moschee e di sedi di associazioni islamiche in tutto il Vecchio Continente, gestite da imam formatisi nelle scuole coraniche e nelle università di Medina e La Mecca. In breve tempo, ciò innescò l’ascesa dell’Islam wahabita e salafita che prese presto il controllo di interi quartieri in molte città europee. Costo complessivo dell’operazione circa 1,5 miliardi di dollari. In Belgio sono così sorti, uno dopo l’altro, quartieri islamici a Bruxelles (il caso più eclatante è Molenbeek), Anderlecht, Schaerbeek, Anversa, Vilvoorde e Verviers, luoghi che hanno sfornato estremisti a getto continuo e dove si sono formate intere generazioni di jihadisti andati a combattere con Al Qaeda in Afghanistan, nei Balcani, in Algeria, in Iraq, e più recentemente in Siria e Iraq al servizio dello Stato Islamico del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
Secondo le statistiche del ministero degli Interni belga, per ogni milione di abitanti del Belgio (11.5 milioni, di cui il 6% musulmani) i foreign fighters partiti per Medio Oriente, Asia Centrale e Nord Africa sono 41. Chi ha buona memoria ricorda, ad esempio, che è proprio da Molenbeek che partirono i due finti giornalisti che il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle, chiesero un’intervista al “Leone del Panjshir” Ahmad Shah Massoud, il leader afghano di etnia pashtun che si opponeva ai talebani sodali di Osama Bin Laden. Furono loro a ucciderlo facendo detonare una carica esplosiva nascosta nella telecamera con la quale lo stavano inquadrando. Sempre da Molenbeek provenivano Salah Abdelesam e gli altri terroristi autori degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 e di Bruxelles del marzo 2016.
Dagli anni Sessanta i sauditi finanziano la costruzione di moschee e la creazione di associazioni islamiche in tutto il Vecchio Continente. È così che sono nati quartieri come Molenbeek a Bruxelles
Adesso il Belgio, dopo esser stato colpito più volte da attacchi di matrice jihadista, ha deciso – seppur tardivamente – di intervenire “de-radicalizzando” l’Islam nel Paese. In passato il tema era stato lasciato in “gestione” agli alleati sauditi, marocchini e tunisini con risultati pari allo zero, come ha mostrato il rapporto di una commissione parlamentare costituita dopo gli attacchi a Parigi e Bruxelles. Nel documento i parlamentari indicano i pericoli che corre lo Stato belga e come «vada arginata la trasmissione dell’Islam salafo-wahhabita nel Paese che agisce partendo proprio dalla Grande Moschea di Bruxelles».
Prima di recarsi a Riad, le autorità belghe hanno incontrato i vertici della Grande Moschea di Bruxelles per verificare il rispetto da parte della loro organizzazione dei principi della Costituzione belga e della Convenzione europea sui diritti umani, ottenendo risposte «vaghe e non soddisfacenti» come ha dichiarato chi era presente all’incontro.
Più o meno le stesse risposte che hanno dato molti fedeli musulmani residenti in Belgio, i quali hanno commentato con «stupore e indignazione» la decisione dell’ottobre scorso del segretario di Stato per l’asilo e la migrazione, Theo Francken, di espellere dal Paese l’imam della grande moschea di Bruxelles Abdelhadi Sewif, accusato di essere «un salafita molto radicalizzato, conservatore e pericoloso per la nostra società e la sicurezza nazionale». Fonti investigative hanno lasciato intendere che dopo Sewif altri suoi colleghi presto dovranno lasciare il Paese. La risposta belga all’Islam radicale è solo all’inizio, ma gli esiti sono incerti. Presto i sauditi si faranno sentire facendo valere il peso di quanto hanno investito nello sviluppo dell’economia belga negli ultimi decenni.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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