Alla fine è successo: Bernie Sanders ha lasciato la corsa alle primarie democratiche per scegliere chi sfiderà Donald Trump alle presidenziali di novembre. Il 2020 è però diverso dal 2016.
Fino a ieri c’erano diverse speculazioni su cosa avrebbe fatto Bernie Sanders dopo le numerose sconfitte patite contro il suo sfidante principale, Joe Biden. Si sarebbe ritirato oppure, come nel 2016, sarebbe rimasto in corsa fino alla convention? Alla fine ha deciso per la prima opzione, spianando la strada al suo avversario che, a meno di sorprese, sarà lo sfidante di Trump alle elezioni di novembre.
Diversi fattori potrebbero aver influito sulla decisione del Senatore indipendente del Vermont. C’è l’emergenza coronavirus, che, sottovalutata negli USA, come in quasi tutto il mondo, ha cambiato i parametri, facendo diventare rischioso recarsi alle urne senza sistemi alternativi, come il voto per posta generalizzato. Per un esempio, si veda il pasticcio fatto nel Wisconsin, che ha votato il 7 aprile, dove il Governatore (democratico) ha provato a cambiare il metodo di votazione, ma è stato fermato dalla Corte Suprema dello stato e da quella federale (entrambe controllate dai conservatori). La situazione richiede che il partito democratico unisca le forze per parlare con una voce sola per rispondere, e criticare se necessario, alle altalenanti misure che sta mettendo in atto la Casa Bianca contro l’epidemia. Continuare a combattersi l’un l’altro non è una strategia efficace in questo momento.
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C’è poi una seconda ragione che potrebbe aver spinto Sanders a lasciare. Un altro motivo per cui il 2020 non è il 2016. Questa volta, infatti, non ha l’occasione di additare la sua sconfitta a mosse e sabotaggi del Partito Democratico, che quattro anni fa chiaramente gli preferiva Hillary Clinton. Quest’anno, l’anima del partito è diversa da quella delle scorse primarie. Le elezioni di midterm hanno fatto emergere diversi candidati molti simili a Sanders per posizioni politiche. Alexandria Ocasio Cortez ne è l’elemento più in vista. In secondo luogo, nel 2016 si pensava che Trump non avrebbe mai potuto vincere e si sa come è andata a finire. Ora, per molti elettori, l’importante è toglierlo dalla Casa Bianca, a prescindere dal candidato. In sostanza, meglio uno che lo possa battere rispetto alla purezza ideologica. C’è un ultimo elemento probabilmente dietro la scelta di Sanders, forse il più importante. Biden si è dimostrato un candidato polivalente, che riesce ad abbracciare un’ampia fetta dell’elettorato democratico. La classe media, gli afroamericani e persino gli operai votano per lui. Inoltre, riesce ad avere buoni risultati anche tra i latinos. Sanders, invece, va forte tra i giovani e tra i latinos, ma non è sufficiente. Inoltre, Biden ha un programma che sarebbe stato considerato molto di sinistra se non ci fosse stato Sanders, e ricordiamo che l’ex Vicepresidente è la faccia di una pesante eredità: quella di Barack Obama. Per questo, il 2020 non è stato il 2016 per Sanders.
Ora Trump si troverà ad affrontare l’avversario probabilmente più temibile per lui.
Emiliano Battisti, Il Caffè Geopolitico
Credit: Photo by CRISTOBAL HERRERA/EPA-EFE/Shutterstock (10554400c) Democratic presidential candidate Senator Bernie Sanders speaks during his primary night event at Southern New Hampshire University in Manchester, New Hampshire, USA, 11 February 2020.
Emiliano Battisti
Nato a Roma nel 1986, laurea triennale in Scienze Politiche e specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Stagista presso l’Ambasciata italiana a Washington e presso quella statunitense a Roma. Master in Istituzioni e Politiche Spaziali, esperto di Nord America. Segretario Generale de Il Caffè Geopolitico
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