«Joe Biden here. Big news: I’ve chosen Kamala Harris as my running mate. Together, with you, we’re going to beat Trump». Con questo messaggio, inviato sui cellulari di chi si è iscritto sul sito della campagna, Joe Biden ha annunciato che la candidata alla Vicepresidenza è la senatrice della California Kamala Harris.
Nata a Oakland, California, 55 anni fa, da padre giamaicano e madre indiana tamil (lui professore di economia alla Berkley, lei scienziata con un dottorato alla Berkley, specializzata nella ricerca contro il tumore al seno), ha un bacheor in scienze politiche ed economia e il Juris Doctor (dottorato in giurisprudenza). È stata Procuratrice di distretto a San Francisco per poi essere eletta, dal 2010, Procuratrice Generale della California. All’epoca dell’amministrazione Obama si è vociferato sia sulla sua nomina a Procuratore Generale degli Stati Uniti (Ministro della Giustizia in sostanza) e come Giudice della Corte Suprema al posto del defunto Anthony Scalia. Dal 2016 è senatrice della California, nel 2019 si è candidata alle primarie del Partito Democratico per il 2020 ed è stata considerata inizialmente una favorita, ma si è ritirata a dicembre 2019.
Prima di tutto, è necessario notare come Joe Biden e il suo staff siano riusciti a tenere segreta la scelta fino alla fine, senza che sia trapelato nulla in anticipo sulla stampa. La nomina, però, non è sorprendente dato che Harris è stata considerata una favorita sin dal principio, quando il candidato (non ancora ufficiale) democratico alla Casa Bianca aveva dichiarato che avrebbe scelto una donna come compagna di viaggio. Generalmente, Harris era considerata l’opzione sicura per Biden. I suoi punti di forza sono infatti notevoli. Prima di tutto, ha una buona esperienza politica a livello nazionale (sono famose le “grigliate” a cui ha sottoposto le nomine di Trump a posizioni federali di rilievo, si veda l’audizione di William Barr per la carica di Procuratore Generale degli Stati Uniti al posto di Jeff Sessions o quella di Brett Kavanaugh per il posto di Giudice della Corte Suprema). Inoltre, essendosi candidata alle primarie, è stata già scrutata in cerca di scheletri nell’armadio. Non ne sono usciti e sarà difficile che ne escano da qui al 3 novembre. L’età e la carriera, oltre alle capacità dimostrate finora, ne farebbero una Vicepresidente “presidenziale” sia nel caso Biden decida di non correre per il secondo mandato, sia che non arrivi alla fine del primo.
Ovviamente, c’è la portata storica della nomina. Non è la prima candidata Vicepresidente in assoluto poiché è stata preceduta da Geraldine Ferraro, democratica che corse con Walter Mondale nelle elezioni del 1984, e da Sarah Palin, repubblicana che corse con John McCain alle elezioni del 2008, e ancora prima da Tonie Nathan del partito libertario che corse con John Hospers nel 1972. Tuttavia, è la prima candidata donna “di colore”, anche se non propriamente afroamericana, e di origini asiatiche, oltre a poter essere la prima Vicepresidente della storia degli Stati Uniti in caso Biden vincesse il 3 novembre prossimo.
Non mancano alcuni punti deboli. Il primo e più recente è la campagna per le primarie democratiche. Nonostante il promettente inizio e le ottime prestazioni nei dibattiti (ha messo in difficoltà Biden più degli altri), la campagna è stata confusa e inconcludente alla fine. Poi c’è il passato come Procuratrice di distretto e Generale della California, che agli occhi della “sinistra” del partito la fa risultare un poliziotto, in senso dispregiativo, con il rischio di alienarsi l’elettorato di Sanders, anche se quest’ultimo l’ha subito elogiata con un tweet dopo la nomina.
Emiliano Battisti
Nato a Roma nel 1986, laurea triennale in Scienze Politiche e specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Stagista presso l’Ambasciata italiana a Washington e presso quella statunitense a Roma. Master in Istituzioni e Politiche Spaziali, esperto di Nord America. Segretario Generale de Il Caffè Geopolitico
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