Joe Biden dovrebbe essere chiamato a un nuovo New Deal con gli americani, possibilmente “verde”
Se Barack Obama verrà ricordato come il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti, Joe Biden lo sarà per essere stato l’uomo che ha liberato l’America e il resto d’Occidente da un incubo. Degli otto anni del primo non c’è molto da ricordare di più importante. Il pericolo è che anche la missione storica del secondo possa terminare al suo successo iniziale: nell’aver rimandato Donald Trump nella sua torre sulla Quinta strada di Manhattan.
L’America del 46° presidente uscita da queste elezioni ha bisogno di una rifondazione: le estreme urlanti si sono rafforzate, mentre il centro fatica a farsi ascoltare; lo scontro razziale che a dispetto delle saltuarie riforme nel corso degli anni, continua ad occupare il cuore del paese, è arrivato a una giuntura; la crisi economica provocata dalla pandemia richiede sforzi e un interventismo statale che non fa parte della cultura economica americana: lo è stato solo negli anni Trenta, all’epoca della Grande Depressione.
Ed è a questo che Joe Biden dovrebbe essere chiamato: a un nuovo New Deal con gli americani. Politiche sociali, aumento delle tasse per i ricchi, investimenti in grandi infrastrutture, un nuovo “Green New Deal” per sostituire progressivamente le tradizionali fonti energetiche con le rinnovabili: un progetto che equivale a una rivoluzione industriale. Bill Clinton e Barak Obama, suoi predecessori democratici, erano dei liberal. Ma da presidenti le loro politiche economiche sono state centriste. Il moderato Biden sarà invece costretto ad essere il liberal che non è mai stato.
A Obama venuto dopo otto anni di George W. Bush, di neo-imperialismo e due guerre costate tremila miliardi, gli americani avevano offerto un beneficio del dubbio molto ampio: molto più dei tradizionali cento giorni. Il resto del mondo fece anche di più, premiandolo con un Nobel per la Pace sulla fiducia.
Dopo l’incubo di Donald Trump, anche a Joe Biden sarà dato un credito temporale abbastanza ampio. Ma per molti versi il suo compito è più complesso. Franklin Rosevelt, che aveva 51 anni quando diventò presidente, si servì di strumenti socialisti per salvare il capitalismo americano: ci furono resistenze ma anche i repubblicani di allora ammettevano che la Grande crisi chiedesse riforme radicali.
L’incubo rappresentato dall’amministrazione Trump è di carattere morale, riguarda le sue ambiguità razziali, gli insulti agli avversari politici, i rapporti con Vladimir Putin, le falsità elevate a ”verità alternativa”. Ma il suo bilancio economico – l’unità di misura più importante prima della pandemia – non è negativo. L’economia aveva ricominciato a correre ed è soprattutto per questo che Trump è stato sconfitto ma non tolto di mezzo. Se Biden è il presidente che ha preso più voti nella storia americana, Trump è il secondo. Questa elezione doveva essere un referendum contro di lui. Invece ha conquistato 5 milioni di voti più che nel 2016.
Il risultato più importante della sua sconfitta/vittoria e – in prospettiva – di queste elezioni, è che i repubblicani potrebbero conservare la maggioranza in Senato. Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana, è stato il nemico di ogni legge portata in Senato da Obama. I democratici lo chiamano “Moscow Mitch” per la sua fedeltà assoluta a Trump. E Donald Trump non sparirà dalla scena: potrebbe restare il punto di riferimento del partito e addirittura guidarlo alle elezioni del 2024. Per questo i quattro anni di Biden il riformatore e l’unificatore di una nazione divisa, potrebbero finire senza altri risultati storici.
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IL DESTINO DEL PARTITO REPUBBLICANO AMERICANO DOPO TRUMP
Anche il mondo attendeva con ansia di essere liberato dalla presenza instabile di Donald Trump. Democratici o meno, amici o nemici, forse ad eccezione di Putin i leader internazionali chiedono prevedibilità a un presidente americano. Ma in compito di Biden nell’arena internazionale non sarà più facile di quello domestico. In maniera più ponderata gli Stati Uniti rivedranno il loro intervento nei conflitti, ridefiniranno i loro interessi. Ma resteranno la prima potenza mondiale. Il problema sarà far credere ad alleati e concorrenti che anche per Washington pacta sunt servanda. Che gli accordi e le promesse ripudiate da Trump e ripristinate da Biden, non saranno messe in discussione dal prossimo presidente.
Ma oggi è giusto celebrare il presente e due insindacabili eventi storici: Kamala Haris è la prima donna vice-presidente e Joe Biden il secondo presidente cattolico, dopo John Kennedy.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’8/11
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