Il braccio dell’Isis nell’Africa occidentale Iswap (Islamic State West African Province), ha confermato la morte di Abubakar Shekau, capo dell’organizzazione jihadista nigeriana Boko Haram. Abu Musab Al-Barnawi, capo dell’Iswap, ha dato la notizia rilanciata anche da France Presse. Shekau si sarebbe suicidato lo scorso 19 maggio facendosi saltare in aria con una cintura esplosiva per non essere catturato da membri dell’Iswap che lo braccavano da giorni nella foresta. Di Boko Haram e del fenomeno criminale della mafia nigeriana parla il libro La cosa nera di Antonio De Bonis, edito da Paesi Edizioni. Eccone uno stralcio.
A partire dal 1901 gli inglesi riunificarono la Nigeria in un protettorato, che divenne poi colonia nel 1914, alla cui guida venne posta una classe di nigeriani per difendere gli interessi inglesi e smorzare le spinte nazionaliste. Dopo la Seconda guerra mondiale la Gran Bretagna fu comunque costretta a guidare la Nigeria verso un formale auto governo federale fino alla completa indipendenza del Paese nel 1960.
La Nigeria indipendente venne strutturata come una Repubblica federale composta da tre regioni: una settentrionale, una occidentale e una orientale, ciascuna a carattere parlamentare con un autogoverno regionale garantito a livello costituzionale. La storia di questo Paese, così composito e con più di 250 etnie da governare in cui si osservano e si praticano diverse religioni, unito con la forza al fine di preservare gli interessi economici di una potenza straniera dominante, è stata costellata da rivolte e tensioni interne sempre molto violente. Ai colpi di stato attuati per raggiungere o mantenere il potere, scanditi dal frenetico avvicendamento di governi militari e civili, si sono alternate rivolte e guerre per l’indipendenza di alcuni territori. Tra i conflitti più cruenti c’è stato quello per l’indipendenza del Biafra portato avanti dall’etnia Igbo dal 1967 al 1970, a cui si sommarono gli effetti devastanti delle tensioni legate allo sfruttamento delle risorse petrolifere.
A questi elementi di instabilità va aggiunta la recrudescenza del terrorismo politico confessionale negli stati del nord del Paese, a netta maggioranza musulmana, dove è fortissimo il radicamento di milizie e cellule legate a Boko Haram, al cui interno oggi è in atto una lotta intestina per la leadership tra fazioni legate ad Al Qaeda e gruppi affiliatisi invece allo Stato Islamico.
Nel sud ovest del Paese, popolato da comunità prevalentemente di fede cristiana, nel corso del 2020 si è registrato un considerevole incremento della violenza nell’intera area comprendente gli stati di Delta, Rivers ed Edo. I fattori congeniti di rischio, connessi all’incremento della violenza, si riconducono, in via principale, all’azione costante e virulenta della militanza armata, della criminalità comune e dell’appartenenza a compagini etniche e settarie. Il delta del fiume Niger in particolare, presenta una evidente eterogeneità nella composizione etnica, con più di 40 realtà che parlano un centinaio tra lingue e dialetti locali. Le aree soggette a forti conflitti sono pressoché invariate nel corso del tempo e soffrono della contrapposizione sui territori tra gang cultiste, forme d’insorgenza e contro insorgenza, omicidi extragiudiziali, violenza mafiosa, lotte tra trafficanti di esseri umani, omicidi a scopo rituale, tensioni politiche e rivendicazioni sociali. Conseguenza di tutto ciò è l’aumento di rapimenti, rapine, atti di pirateria e omicidi. Come noto, l’importanza del delta del fiume Niger va individuata nella presenza di enormi riserve di petrolio che non si riflettono in un benessere diffuso. L’area è invece caratterizzata da un’estrema povertà che acuisce le lotte territoriali per l’accaparramento di qualsiasi fonte di guadagno. Questa diffusa povertà genera una forte diseguaglianza sociale che sviluppa tensioni permanenti.
Tratto dal libro
La cosa nera. Indagine a tutto campo sulla mafia nigeriana
di Antonio De Bonis
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