Il fiume Brahmaputra, arteria vitale pulsante nel cuore dell’Asia, rappresenta molto più di una semplice massa d’acqua che scorre attraverso il continente. Nasce dalle vette innevate e maestose del Tibet, un tetto del mondo che alimenta non solo il fiume stesso ma anche le speranze e le aspirazioni di milioni di persone che dipendono dalle sue acque per la sopravvivenza. Questo corso d’acqua serpeggia attraverso territori diversi e culturalmente ricchi come la Cina, l’India e il Bangladesh. Prima di sfociare nel Golfo del Bengala, si unisce al Gange a formare il delta più grande al mondo. Conosciuto con nomi diversi a seconda della regione che attraversa – Yarlung Tsangpo in Tibet, Siang/Brahmaputra in India e Jamuna in Bangladesh – questo fiume transfrontaliero è un elemento cruciale per l’esistenza di innumerevoli comunità.

Tuttavia, la crescente attenzione della Cina verso lo sviluppo infrastrutturale nel corso superiore del fiume, in particolare attraverso la costruzione di dighe imponenti e complesse, ha sollevato serie preoccupazioni e generato tensioni geopolitiche significative con i Paesi a valle, in particolare India e Bangladesh. Queste nazioni temono per la loro sicurezza idrica, ovvero la disponibilità continua e affidabile di acqua per soddisfare le esigenze delle loro popolazioni e dei loro settori economici, e per l’equilibrio ecologico, un sistema delicato che può essere facilmente alterato da interventi umani massicci. La gestione delle acque del Brahmaputra è quindi diventata un intricato intreccio di ambizioni di sviluppo, spesso in competizione tra loro, e per la pressante necessità di una condivisione sostenibile delle risorse secondo un approccio che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti e che garantisca la protezione dell’ambiente per le generazioni future.

Il Brahmaputra si estende per circa 2.900 km, un percorso tortuoso che alimenta con le sue acque una straordinaria varietà di ecosistemi e sostiene la vita di milioni di persone. Le sue sorgenti si trovano nel ghiacciaio Chemayungdung, una massa di ghiaccio perenne che si scioglie lentamente, alimentandolo con acqua fresca e vitale. Da lì, il fiume attraversa paesaggi diversi e affascinanti, dalle alture desertiche e aride del Tibet alle fertili pianure alluvionali del Bangladesh. In Tibet, il fiume scorre per 1.700 km, ricevendo acqua da numerosi affluenti che contribuiscono ad aumentare la sua portata. Quando entra in India, il fiume assume il nome di Siang, per poi diventare Brahmaputra quando raggiunge l’Assam, una regione dove è considerato sacro e dove svolge un ruolo fondamentale nell’agricoltura e nella cultura locale. In Bangladesh, il fiume è conosciuto come Jamuna e si unisce al Gange, un altro fiume sacro dell’India, formando il delta del Bengala, una vasta area di terra fertile che è anche una delle regioni più densamente popolate del mondo. L’importanza del Brahmaputra per la Cina, l’India e il Bangladesh è innegabile, ma questa regione è anche particolarmente vulnerabile ai disastri naturali, come inondazioni, siccità e terremoti, che possono avere conseguenze devastanti per le comunità locali.

La Cina, con la sua rapida crescita economica e la sua crescente domanda di energia, ha manifestato un forte interesse nello sfruttare il potenziale idroelettrico dei fiumi tibetani, incluso il Brahmaputra. Sebbene il paese abbia già costruito diverse dighe di dimensioni minori lungo il corso del fiume, i progetti su larga scala, come la costruzione di mega dighe, hanno suscitato preoccupazioni significative nei Paesi a valle. La Cina sostiene che tali progetti sono fondamentali per promuovere lo sviluppo economico e per soddisfare la crescente domanda di energia del Paese, e che vengono realizzati nel rispetto dell’ambiente. Tuttavia, la mancanza di trasparenza riguardo ai piani di sviluppo e ai dati idrologici alimenta la diffidenza e l’incertezza tra gli altri Stati interessati. La proposta di costruire una mega diga nella contea di Medog, una zona strategicamente importante vicino al confine con l’India, ha destato particolare timore per le possibili alterazioni del flusso del fiume e per la possibilità di future deviazioni delle acque, che potrebbero avere conseguenze negative per l’agricoltura, la pesca e l’ambiente.

La costruzione di dighe sul Brahmaputra ha introdotto una dimensione geopolitica complessa nella gestione delle acque del fiume. L’India teme una riduzione significativa del flusso del fiume durante la stagione secca, quando l’acqua è più scarsa e la domanda è più alta, e il rischio di inondazioni improvvise causate da rilasci incontrollati di acqua dalle dighe. Inoltre, l’India è preoccupata per la sua crescente dipendenza da una risorsa idrica che è controllata da un Paese con cui ha relazioni complesse e a volte tese. L’India lamenta anche la scarsa condivisione di dati idrologici da parte della Cina, il che rende difficile prevedere e gestire le risorse idriche in modo efficace. Il Bangladesh condivide simili preoccupazioni, essendo ancora più vulnerabile in quanto Paese situato più a valle. Il Bangladesh teme che la costruzione di dighe sul Brahmaputra possa avere impatti negativi sul delta del Bengala, una regione cruciale per l’agricoltura e la pesca, e che possa aumentare il rischio di inondazioni e siccità. La Cina, da parte sua, rivendica il diritto sovrano di sviluppare le proprie risorse naturali, sostenendo che lo fa in modo sostenibile e che gli impatti a valle sono minimi. Tuttavia, le considerazioni strategiche regionali giocano un ruolo importante nelle decisioni della Cina riguardo alla gestione delle acque del Brahmaputra. L’assenza di un trattato internazionale sul Brahmaputra complica ulteriormente la situazione, lasciando spazio a interpretazioni diverse e a potenziali conflitti. Gli accordi bilaterali tra India e Cina sono limitati e non affrontano in modo esaustivo tutte le questioni in sospeso. Oltre alle tensioni geopolitiche, la costruzione di dighe sul Brahmaputra ha anche implicazioni ecologiche significative, alterando il flusso naturale del fiume, ostacolando la migrazione dei pesci e riducendo il trasporto di sedimenti, che sono essenziali per la fertilità del suolo nel delta del Bengala.

Il Tibet, spesso definito la «Torre d’Acqua dell’Asia» con particolare in riferimento alla regione del Qinghai-Xizang , è la sorgente di circa dieci grandi fiumi che alimentano miliardi di persone in Asia. Oltre al Brahmaputra, questi fiumi includono lo Yangtze, il Fiume Giallo, il Mekong, l’Indo, il Salween, l’Amu Darya, il Syr Darya, il Tarim e il Sutlej. Il controllo cinese su queste sorgenti conferisce al Paese una posizione di idro-egemonia, con vantaggi strategici significativi. Questi vantaggi includono la capacità di produrre energia idroelettrica, il potenziale per deviare le acque verso altre regioni, la possibilità di esercitare una leva geopolitica sui Paesi a valle e la capacità di promuovere lo sviluppo regionale. Tuttavia, i Paesi a valle temono per la loro sicurezza idrica, per la gestione delle inondazioni, per gli impatti ecologici, per la mancanza di trasparenza e per il potenziale uso dell’acqua come strumento politico. La mancanza di trattati internazionali e le tensioni regionali ostacolano la cooperazione e aumentano il rischio di conflitti. La costruzione di dighe in Tibet ha anche impatti ambientali e sociali locali, come lo spostamento di comunità, la perdita di biodiversità e la degradazione del suolo.

La gestione sostenibile del Brahmaputra e degli altri fiumi tibetani richiede un impegno serio per la cooperazione, il dialogo e la trasparenza tra la Cina e i Paesi a valle. Un accordo transfrontaliero, che stabilisca regole chiare e meccanismi di risoluzione delle controversie, potrebbe garantire un uso equo e sostenibile delle risorse idriche. La Cina deve condividere informazioni dettagliate sui progetti di sviluppo idrico, in modo da costruire fiducia e ridurre l’incertezza tra i Paesi a valle. La prospettiva futura dipende da un approccio collaborativo che riconosca l’interconnessione regionale e la responsabilità condivisa per la salute dei fiumi e il benessere delle popolazioni che dipendono da essi. Solo attraverso la cooperazione e la comprensione reciproca sarà possibile garantire che il Brahmaputra continui a essere una fonte di vita e prosperità per tutti i Paesi che lo condividono.