Le crisi migratorie non sono un’esclusiva del Mediterraneo. Anche in Sud America migliaia di persone stanno abbandonando le loro case per cercare di sopravvivere. È il caso dei profughi venezuelani, in fuga verso il Brasile dalla drammatica crisi economica che flagella il Venezuela, provocata da anni di scelte economiche scellerate dei governi di Hugo Chávez e Nicolás Maduro.
Secondo le autorità brasiliane, in media oltre 100 venezuelani attraversano ogni giorno la frontiera alla ricerca di cibo, assistenza sanitaria e migliori condizioni di vita. Alcuni di loro fanno la spola tra Brasile e Venezuela per comprare beni di prima necessità, come riso, farina, olio, pasta, zucchero o prodotti di igiene personale, ormai scomparsi dagli scaffali dei supermercati venezuelani. Molti altri, invece, fuggono definitivamente dal loro Paese, cercando forme di sostentamento in Brasile.
Lo stato brasiliano di Roraima, al confine con il Venezuela, è diventato il rifugio dei venezuelani in fuga dalla fame, dalla violenza endemica e dalla disoccupazione. Le stime ufficiali indicano che oltre 50mila venezuelani si trovano attualmente nel territorio di questo stato, che conta solo 500mila abitanti. “Ma i numeri reali potrebbero essere molto più alti. Non esiste un vero e proprio censimento dell’arrivo di profughi venezuelani e molti di loro attraversano la foresta per sfuggire ai soldati, dato che il confine è ufficialmente chiuso su ordine di Maduro”, spiega il colonnello brasiliano Edivaldo Cláudio Amaral, coordinatore dell’unità di crisi istituita dal governo di Roraima per gestire il flusso di profughi venezuelani.
Lo scorso agosto la frontiera è stata chiusa per oltre un mese, e nei due giorni in cui è stata provvisoriamente riaperta, oltre 135mila venezuelani si sono riversati in Brasile, molti dei quali non sono tornati indietro a fine giornata. Una massa umana imprigionata nell’unità più povera della federazione brasiliana, e che non riesce a raggiungere le regioni più ricche come i centri industriali di São Paulo o Rio de Janeiro, distanti oltre 4.700 km, più del doppio della distanza tra Roma e Helsinki. La Foresta Amazzonica rende impossibile proseguire il cammino via terra, e il trasporto aereo è talmente caro da essere proibitivo.
Servizi pubblici al collasso e crimine fuori controllo
La porta d’ingresso dei venezuelani in Brasile è Pacaraima, città di frontiera di 10mila abitanti. Nelle vie di questo piccolo centro urbano migliaia di venezuelani sciamano alla ricerca di prodotti da acquistare, oppure vagano senza meta cercando lavoro o chiedendo l’elemosina. Per le strade è ormai diventato più comune avvistare veicoli con targhe venezuelane che brasiliane. Automobili, pick-up, carrette e autobus scaricano nugoli di venezuelani e vengono riempite all’inverosimile con tonnellate di alimenti, carta igienica o sapone, da consumare o rivendere dall’altro lato della frontiera. In Venezuela manca oltre l’80% dei prodotti di base, i cittadini sono costretti a interminabili file per cercare di accaparrarsi un po’ di cibo e l’inflazione per il 2016 è stimata oltre il 720%. Le vettovaglie provenienti dal Brasile sono diventate molto spesso l’unica fonte di sostentamento per intere città del Venezuela dove è più difficile trovare beni alimentari. Molti venezuelani viaggiano per giorni interi, percorrendo oltre 1.500 km per raggiungere il Brasile, fare provviste e poi tornare a casa a sfamare le proprie famiglie.
Ma il massiccio aumento della domanda nelle piccole città di frontiera brasiliane ha portato i prezzi alle stelle, erodendo il potere d’acquisto dei già magri salari delle popolazioni locali e peggiorando la situazione sia per i venezuelani che per i brasiliani. “A Roraima il costo della vita è aumentato del 23% in poche settimane. E ciò sta provocando molto scontento tra la popolazione brasiliana”, spiega il colonnello Amaral. Un chilo di zucchero è arrivato a costare 1 milione di bolivar, mentre lo stipendio medio di un venezuelano è di 30 milioni di bolivar al mese. In Brasile un bolivar equivale a meno di un centesimo di real. Per questo motivo il numero delle cedole è talmente elevato da obbligare i commercianti a pesarle, e non più contarle, quando vendono i loro prodotti.
Va peggio a quei venezuelani che hanno scelto di abbandonare il loro Paese e trasferirsi in Brasile. Non avendo il permesso per poter lavorare legalmente, sono costretti a ripiegare su lavori in nero, facendo una concorrenza spietata ai brasiliani, o a chiedere l’elemosina per le strade. “I venezuelani lavorano per meno della metà dello stipendio dei brasiliani. Oggi se vai al supermercato trovi commessi venezuelani, se vai dal meccanico ci sono venezuelani, parrucchieri, muratori, falegnami, persino i venditori di acqua di cocco sono venezuelani. Le persone sono infuriate perché perdono il lavoro a causa di questo flusso migratorio”, racconta il colonnello Amaral. Per cercare di sopravvivere, molte donne venezuelane sono diventate venditrici ambulanti, puliscono vetri delle automobili ai semafori o, peggio, sono costrette a prostituirsi. Numerose accettano di diventare “mulas”: corrieri della droga per conto dei narcos venezuelani.
Negli ospedali di tutto il Roraima i ricoveri per casi di malaria, leishmaniosi, denutrizione, malattie veneree o violenze sono aumentati sensibilmente, portando le precarie strutture ospedaliere locali al collasso. Nella sola Pacaraima i casi di malaria di profughi venezuelani sono passati da 503 nel 2015 ad oltre 1.500 nel 2016. I venezuelani coprono il 70% delle prestazioni sanitarie erogate, tanto che iniziano a mancare medicinali, come antinfiammatori e antitermici. “Molte malattie che erano state debellate in Brasile sono tornate con la migrazione venezuelana. Moltissimi portano anche AIDS, epatite, sifilide o difterite. E visto che defecano per le strade il rischio di epidemie è molto alto”, allerta il colonnello Amaral.
I servizi pubblici sono presi d’assalto, e non riescono a far fronte alle richieste. Le scuole hanno visto quadruplicare il numero di alunni iscritti. La quantità di spazzatura per le strade è talmente aumentata da non venire più smaltita adeguatamente. La fornitura d’acqua è diventata insufficiente per così tante persone e i casi di blackout elettrici sono sempre più frequenti a causa dei collegamenti illegali alla rete elettrica dalle baracche improvvisate dai venezuelani. Anche il crimine sta subendo un’impennata, con rapine, furti in abitazioni, omicidi, traffico di droga e occupazioni di case. “La polizia dello stato non riesce a mantenere l’ordine pubblico perché non è abituata a questo livello di criminalità”, spiega il colonnello Amaral. Centinaia di venezuelani sono già stati arrestati dalla polizia brasiliana, ma la fame e la disperazione spingono sempre più persone a commettere reati. Neanche le telecamere di videosorveglianza inibiscono più le rapine nei negozi o le irruzioni nelle abitazioni private. “Quando hai fame non guardi in faccia a nessuno e non ti interessano le conseguenze dei tuoi atti”, sottolinea Amaral.
I brasiliani in rivolta contro i profughi
Esasperati, molti abitanti di Roraima hanno iniziato a protestare contro quella che definiscono “un’invasione”, chiedendo che i venezuelani vengano rimpatriati. “La situazione è esplosiva. Ogni giorno si registrano nuovi casi di tumulti provocati da brasiliani, esasperati per l’arrivo di venezuelani. Non è xenofobia o razzismo, qui siamo allo stremo”, spiega il colonnello Amaral. Per cercare di fare fronte a questa situazione, la governatrice di Roraima, Suely Campos, ha dichiarato lo stato di emergenza e tratta la questione come una “crisi umanitaria”. Inoltre, politici locali stanno facendo pressioni su Brasilia, protestando veementemente contro l’assenza del governo federale, che secondo loro non avrebbe fatto abbastanza per aiutare il piccolo stato del nord ad affrontare il problema. Tuttavia, non sono stati creati centri di accoglienza per i migranti, come quelli realizzati in Europa. “Ci limitiamo a sfamare qualche centinaio di persone e a coordinare l’aiuto di medici volontari della Croce Rossa o di organizzazioni umanitarie legate alla Chiesa Cattolica. Ma non possiamo fare di più, né fornire un luogo dove i venezuelani possano dormire perché altrimenti stimoleremmo l’arrivo di altre persone. Scoppierebbe il caos”, racconta Amaral.
Il governo brasiliano, dal canto suo, si trova in una complicata impasse. Il bilancio brasiliano è in profondo rosso, con un rapporto deficit/PIL previsto per il 2016 di quasi il 10%, e ciò rende impossibile dislocare risorse per fronteggiare l’emergenza dei profughi venezuelani. Inoltre, esiste un ostacolo diplomatico. Per poter accogliere in maniera adeguata i venezuelani il Brasile dovrebbe riconoscere loro lo status di rifugiati. Ma ciò significherebbe automaticamente ammettere che in Venezuela vige un regime che non rispetta i diritti umani, con gravi conseguenze sotto il profilo delle relazioni bilaterali con Caracas. Per questo motivo, il Brasile aspetta che sia l’ONU a fare il primo passo, analizzando la situazione e considerando il Venezuela come Paese dove vengono praticate violazioni massicce e sistematiche dei diritti dell’uomo. Nonostante ciò, le richieste di asilo alle autorità brasiliane sono esplose. Nel 2014 solo 7 venezuelani avevano chiesto asilo in Brasile, nel 2015 il numero era passato a 234, mentre nel 2016 quasi 2mila venezuelani hanno presentato richiesta di asilo. Un numero enorme per un Paese che non è abituato a gestire flussi di profughi. Tanto che l’organo governativo brasiliano preposto all’analisi delle richieste di asilo, il Conselho Nacional de Refugiados (CONARE), è talmente intasato che risponde alle domande dopo circa due anni dalla presentazione della richiesta.
Nel frattempo, i venezuelani sono costretti a vivere per le strade di Roraima in condizioni disumane, dormendo nelle stazioni degli autobus o sotto i viadotti. Una situazione di degrado assoluto, che sta degenerando rapidamente. E che rischia di trasformarsi a breve in una vera e propria bomba sociale ai confini del Brasile.
di Carlo Cauti
Reportage pubblicato nel dicembre 2016
Redazione
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