Il 9 maggio ricade il 43esimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro. È il 9 maggio del 1978 il giorno in cui a Roma, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a metà strada tra la sede del Partito Comunista Italiano e quella della Dc, viene ritrovato il cadavere del presidente della Dc. Aldo Moro era stato rapito il 16 marzo dello stesso anno dalle Brigate Rosse. Alla fondazione dell’organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra è dedicato il romanzo di Gianremo Armeni Bi.Erre. I Fondatori (2018), edito da Paesi Edizioni. Eccone uno stralcio.
Il cielo era sereno sopra i ruderi dell’antico podere abbandonato. Un luogo solitario, dimenticato, avviluppato da una vastissima campagna gremita di rovi e acquitrini. La Fiat 128 familiare verde sobbalzava sul viottolo impervio. Chi guidava teneva le mani inchiodate sul volante, senza curarsi troppo del picchiettio dei sassolini contro la carrozzeria. I finestrini chiusi tenevano lontane le nuvole di pulviscolo. Arrestò l’andatura perché negli anni una fittissima vegetazione selvatica aveva ostruito, per un breve tratto, il secolare sentiero che si allacciava con la statale. Lui non aveva avuto alcuna necessità a lasciare un varco sgombro, ne aveva tratto un vantaggio. Aveva nascosto quel posto al mondo intero. Dalla macchina scesero tre uomini. Proseguirono a piedi, districandosi tra gli arbusti, in un pomeriggio assolato. Chi aveva guidato l’auto dirigeva gli altri due, sorreggendoli. A loro era stata preclusa la vista. La catapecchia che un tempo era stata destinata al deposito delle attrezzature agricole, si trovava sul retro del casolare diroccato, a ridosso del vecchio fontanile dove molti anni prima si andavano ad abbeverare le mucche. Si trattava di una piccola struttura realizzata con dei normalissimi bandoni di lamiera ondulata. Quando tolse la sbarra di legno, delle folate inffiacchite di vento fecero beccheggiare la porticina. Il cigolio delle cerniere arrugginite e lo schiamazzo degli uccelli riecheggiarono nel silenzio della campagna addormentata. Quando entrarono nella baracca vennero sopraffatti dal caldo liberato dalle latte. Il lezzo fu altrettanto molesto. Come per incanto, anche gli altri due riacquistarono la vista. All’interno la scena era invasa da sottili fasci di luce, che filtravano con a anno tra gli occhielli dei bandoni bucherellati.
L’uomo che li aveva condotti fin lì biascicava una radice di liquirizia. L’altro, la sua ombra sdoppiata, sembrava essere quello più ossessionato dai timori persecutori. Spettri che si trascinavano dietro un corpo. Ombre antropomorfe. Il terzo personaggio indossava una camicia con le maniche arrotolate. Teneva un piede puntellato su una vecchia cassapanca sbrindellata e i pollici incastrati nei passanti dei pantaloni. Era il più vicino all’ingresso, per questo i suoi scarni lineamenti venivano rischiarati al ritmo delle oscillazioni della porta. Lui era il professionista. L’adunata prese il via con i soliti dibattiti.
L’uomo che continuava a sputacchiare le scaglie della radice assunse il ruolo di primo attore, insaporendo con parabole pittoresche gli appassionati ragionamenti politici. Adorava essere ascoltato. Discorsi triti e ritriti. Stava spiegando per l’ennesima volta, lo aveva già fatto poco prima in casa di uno degli altri due, che il proletariato era la classe oppressa, sfruttata da quella dominante borghese, e che per liberarsi da quelle catene gli restava da fare una cosa, e una soltanto: la rivoluzione armata. Il capitalismo e la borghesia erano mali da estirpare con la forza. Il suo amico era poco attento al comizio. Preferiva rivolgere delle caduche occhiate attraverso le fenditure dei bandoni, anche se poi, a volerla dire tutta, queste sbirciatine erano contrarie alle regole. Non sapeva stare fermo. Con una mano prese a far dondolare una vecchia lanterna imbrattata di polvere, che penzolava da una cordicina appesa al soffitto. Sembrava incapace di tenere a bada quelle paranoie che ormai lo accompagnavano da anni. Fissazioni che obbedivano a un istinto viscerale, tipico di chi ha il problema di dover tenere incollate tra loro diverse identità. A lungo andare, la mente non distingue più tra una situazione paventata e una reale. Tutto lascia una traccia. Se il pensiero negativo è persistente, il cervello si abitua a considerare solo prospettive infauste. Non c’è niente di peggio dell’impressione di essere nel mirino, ma se ci sei realmente, non c’è niente di peggio del sospetto di come ci sei finito.
Sembrava incapace di tenere a bada quelle paranoie che ormai lo accompagnavano da anni. Fissazioni che obbedivano a un istinto viscerale, tipico di chi ha il problema di dover tenere incollate tra loro diverse identità. A lungo andare, la mente non distingue più tra una situazione paventata e una reale. Tutto lascia una traccia
Terminata la conversazione di stampo politico, passarono all’ordine del giorno. La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è un ricamo, non la si può fare con eleganza, dolcezza, gentilezza, è un’insurrezione violenta, e se è vero che lo Stato borghese si abbatte e non si cambia, è altrettanto vero che non si abbatte con le chiacchiere. Le armi erano nascoste in alcune casse di legno. L’uomo dalle mille parole le aprì e tirò fuori dei campioni per mostrarli al consultore. Il professionista si asciugò la fronte lucida con un fazzoletto di stoffa spiegazzato, poi si sbottonò la camicia per passarselo anche sul petto. Quando cominciò ad ammaliarli sciorinando le sue conoscenze tecniche, anche il tizio guardingo uscì improvvisamente dal suo isolamento. Disse di non conoscere gli Fnab 43, le pistole mitragliatrici impiegate in modo massiccio dalle truppe fasciste durante la Seconda guerra mondiale, divenute poi bottino di guerra dei partigiani. Ignorava da dove provenissero, ma non fece domande perché era buona regola non farne. Cominciò a maneggiare con professionale maestria le altre armi, quelle nuove. Fece prove di puntamento, assunse diverse posture di tiro, esaminò i caricatori… Sul suo volto comparve un’espressione compiaciuta. Erano tutti soddisfatti. Prima di uscire dalla baracca, sui due uomini calò nuovamente l’oscurità. Abbandonarono il podere quando gli ultimi rimasugli di chiarore crepuscolare stavano lasciando inderogabilmente spazio alla sera. L’indomani, il professionista avrebbe avuto un lavoretto da fare.
Tratto dal libro
Bi.Erre. I fondatori
Il primo e unico romanzo sulla storia delle Brigate Rosse
Nella foto il corpo di Aldo Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani. Roma, 9 maggio1978. (Ansa)
Redazione
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