Lo scontro mancato per un soffio nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale ha riaperto la disputa non risolta tra Stati Uniti e Cina, facendo emergere i timori di un pericoloso conflitto e di un’eventuale escalation militare. Le due maggiori potenze economiche del mondo, entrambe dotate di armi nucleari, sono l’una contro l’altra impegnate un un confronto sempre di più paragonabile a una strategia di brinkmanship e nessuna delle due sembra intenzionata a cedere.
Il giorno 30 settembre una nave da guerra della Marina Cinese è arrivata a meno di 42 metri di distanza da una nave americana che stava solcando lo specchio d’acqua ricco di risorse energetiche. Pochi intensi minuti carichi di tensione terminati dalla decisione della nave Usa Decatur di cambiare rotta per evitare una collisione che sarebbe costata la vita a numerosi membri dei due equipaggi e che avrebbe seriamente danneggiato le imbarcazioni. L’episodio è avvenuto a 12 miglia nautiche da Gaven Reef, un paio di affioramenti di sabbia ampliati e fortificati dai cinesi che li proteggono facendo affidamento sul cacciatorpediniere Lanzhou e su una squadra di marinai. L’incidente è stato confermato da ufficiali americani e da un video fornito dal Ministero della Difesa britannico al giornale South China Morning Post.
L’episodio ha aperto una nuova fase del confronto tra Usa e Cina i cui rischi aumentano se si pensa che manca un accordo sulle regole di condotta da rispettare per escludere le escalation. Questi timori non sono stati per niente placati dalla dichiarazione del vicepresidente Mike Pence che ha annunciato una linea più dura da adottare nei confronti di Pechino. Per contrastare la presenza americana la Cina sta inviando nella regione un numero sempre maggiore di navi e di aerei che sommati alle reazioni statunitensi hanno l’effetto di aumentare gli incidenti. L’Amministrazione Trump l’anno scorso ha iniziato a rispondere alle rivendicazioni cinesi inviando nel braccio di mare conteso imbarcazioni da guerra con una maggiore frequenza e ha chiesto agli alleati di supportare il suo atteggiamento aggressivo, manovre che per i cinesi hanno il sapore di aperte provocazioni. Dal 2016 ad oggi il governo di Washington ha contato almeno 18 seri incidenti che hanno coinvolto navi da guerra e aerei sia cinesi che americani. I contrasti nascono dalle rivendicazioni di Pechino su tutto il Mar Cinese Meridionale, espansione che gli americani contestano. Gli Stati Uniti cercano di difendere il diritto all’accesso al Mar Cinese Meridionale e per tale ragione continuano a inviare imbarcazioni. L’intransigenza mostrata da entrambi i lati ha impedito e continua a impedire ogni soluzione di compromesso. Tra Stati Uniti e Cina esiste tuttavia un accordo, datato 2014, la cui aderenza non è vincolante e che soprattutto non permette di stabilire quali acque siano accessibili e quali non lo siano. Il patto infatti è poco più di un gentleman’s agreement.
Il 10 novembre il Segretario alla Difesa James Mattis ha incontrato a Washington la sua controparte cinese, il Ministro Wei Fenghe, per discutere da vicino dei modi utili a evitare un conflitto nel Mar Cinese Meridionale. All’incontro, il secondo annual US-China Diplomatic and Security Dialogue, hanno preso parte il segretario di Stato Mike Pompeo il segretario alla Difesa James Mattis e le loro controparti e membri del Politburo di Pechino Yang Jiechi e Wei Fenghe. Wei Fenghe ha detto che “le forze armate di Cina e degli Usa dovrebbero gestire correttamente i rischi e permettere alle relazioni militari di fungere da stabilizzatore nei rapporti tra i due Paesi”, come è stato scritto in una nota ufficiale del Ministero della Difesa cinese.
L’incontro di novembre è successivo a un confronto di alto livello avvenuto ad ottobre tra Washington e Pechino, “onesto e trasparente”, a detta del Segretario Usa Mattis, che però non aveva portato a nessun tipo di accordo. Un precedente incontro tra Wei e Mattis, che si sarebbe dovuto tenere a Pechino, era stato annullato a causa della decisione di Trump di sanzionare l’esercito cinese per l’acquisto di aerei militari e missili dalla Russia. La Cina, inoltre, aveva aspramente criticato la vendita di armi Usa a Taiwan, la piccola isola ribelle che considera parte del suo territorio. L’incontro di ottobre era servito per spegnere le tensioni, ma Pechino aveva continuato a chiedere agli Usa di “smettere di mandare navi e velivoli militari nelle vicinanze delle isole cinesi e di porre fine a qualsiasi tipo di azione finalizzata a minare l’autorità cinese e i suoi interessi”, aveva detto il Ministro degli Esteri Yang Jiechi, continuando a criticare il supporto americano a Taiwan. Mike Pompeo aveva risposto che gli Usa avrebbero continuato a volare e navigare fin dove lo permette il diritto internazionale, ma Pompeo aveva anche rassicurato: “Washington non persegue una politica di contenimento verso la Cina”.
Da tempo Pechino ha disposto l’aumento delle spese militari e, secondo una proiezione del Pentagono, entro il 2025 dovrebbe accrescere del 30% il numero degli aerei da guerra, disporre di quattro portaerei, di un numero maggiore di cacciatorpediniere lanciamissili e di un sistema di guerra sottomarina tecnologicamente più avanzato. Questo non promette un miglioramento del dialogo tra Usa e Cina sul Mar Cinese Meridionale, che non è arrivato fino a questo momento a nessun risultato concreto. Il 14 novembre il Premier cinese Li Keqiang è ritornato sul punto cruciale per la Cina di un codice di condotta valido per le acque del Mar Cinese Meridionale in occasione del meeting di Singapore avuto con i leader dei Paesi del Sudest asiatico. Tra Usa e Cina le grandi divergenze restano e intanto Washington continua a corteggiare i suoi alleati regionali per spingere via i cinesi dalle acque contese.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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