Le pesanti sconfitte di Raqqa e Mosul, hanno sottratto al cosiddetto Stato Islamico non solo parti importanti di territorio nel “Siraq” ma hanno praticamente prosciugato quella che per anni è stata la fonte primaria di incasso: il controllo dei pozzi petroliferi.
L’improvvisa aporia di risorse ha costretto Daesh a fare un salto di qualità immettendosi nel redditizio traffico di stupefacenti e assumendo i tratti di una vera e propria joint venture criminale, rinsaldando le alleanze con gruppi jihadisti già dediti allo spaccio.
In questo senso vanno intese le alleanze con alcuni gruppi terroristici presenti nel Sahel come Boko Haram, un’organizzazione nata prima del Califfato, e che ha radici e obiettivi locali, per cui l’integralismo di matrice islamica è più una leva di legittimazione e propaganda, che non una reale finalità.
L’ortodossia islamica sembrerebbe un retaggio lontano: Boko Haram infatti non ha indugiato nell’inserirsi nel mercato del contrabbando, in particolar modo in quello degli stupefacenti, in aperto spregio della legge islamica che considera le droghe “haram”, ovvero proibite dalla Legge.
Tendenzialmente i terroristi islamici cercano di non pubblicizzare troppo queste attività in quanto lesive della loro condotta e dell’ortodossia che li dovrebbe contraddistinguere.
Recentemente il dogmatismo di Daesh parrebbe aver assunto tratti più morbidi, in quanto i combattenti dello Stato Islamico sono recentemente passati da trafficanti a consumatori di sostanze.
Per inquadrare questo nuovo fenomeno occorre fare alcune precisazioni: lo scoppio della guerra in Siria ha fatto sì che la produzione di droghe sintetiche passassero dal Libano, per arrivare in un’area dove i controlli erano assenti e ne favorivano la produzione e il commercio. Per anni sotto il controllo di Hezbollah questo redditizio mercato è stato intercettato anche dall’Isis.
Nel mercato mediorientale, infatti, la domanda di metamfetamine ha conosciuto una crescita esponenziale soprattutto in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar dove queste sostanze hanno sostituito alcool e droghe leggere.
Pur essendo le droghe severamente ed esplicitamente vietate dalla legge islamica, lo stesso non vale per i farmaci presi per via orale, tra l’altro più facili da occultare. È così che hanno iniziato a diffondersi gli stimolanti illegali, conosciuti in arabo con il nome “Abu Hilalain” (padre delle due lune crescenti).
Fra tutti il più diffuso è il Captagon, droga sintetica che ha preso piede quasi esclusivamente nel Vicino e Medio Oriente e che ormai domina il mercato e anima le serate della gioventù araba sunnita.
Il Captagon è il nome popolare per un tipo di amfetamine stimolanti (ATS) il cui composto chimico è chiamato fenethylline, un composto di amfetamina e teofillina. Il Captagon fu commercializzato per la prima volta nel 1961 da una ditta farmaceutica tedesca, la Degussa AG.
Nel 1981, la Food and Drug Administration (FDA), insieme a molti altri paesi, ha vietato il farmaco a causa di studi medici che suggeriscono come un elevato potenziale di fenethylline porti alla dipendenza, abuso e ad altri effetti nocivi per la salute.
Gli effetti del Captagon vanno dall’euforia alla diminuzione del bisogno di dormire, fino all’abbassamento delle inibizioni e all’assenza di percezione del pericolo e della paura. Un suo uso prolungato provoca psicosi, paranoia, aggressività, e in alcuni casi la morte. In Siria, il costo al dettaglio di una pasticca di Captagon (chiamata in gergo farawla, “fragola”) varia dai 7 ai 15 dollari.
Il Captagon ha conosciuto una sua fortuna giornalistica come “droga del combattente” (o jihad pills). È stato provato infatti che i jihadisti, sia di Daesh che del Fronte al-Nusra, vi ricorrano per inibire lo stress prima degli attentati: siringhe di Captagon sono state rinvenute nell’appartamento di uno degli attentatori del Bataclan.
La sostanza ha conosciuto una sua popolarità anche nei teatri di guerra mediorientali: gli jihadisti vi ricorrono sia per infondersi coraggio che per aumentare le ore di veglia durante gli assedi.
Vi è anche un’ulteriore interpretazione di tipo motivazionale-psicologico: i foreign fighters che sono accorsi in Siria dal 2012, il più delle volte erano giovani, provenienti da contesti contesti europei, che si sono ritrovati catapultati in uno scenario bellico, senza avere alcuna esperienza o consapevolezza di cosa comporti il trovarsi a combattere per giorni contro un’armata nemica.
Infatuati dalla propaganda di Daesh e dalla sua estetica d’azione, si sono ritrovati a fronteggiare una realtà di violenza e privazioni, a cui la droga ha saputo dare un conforto, e che spesso viene fornita proprio dai vertici dell’organizzazione per evitare diserzioni.
Mentre in passato gli hub di produzione del Captagon erano situati in Europa orientale, e più precisamente in Bulgaria, a partire dal 2006 con le restrizioni e i controlli sempre più stringenti delle polizie europee, la produzione si è spostata in Turchia e Libano. Quest’ultimo, in seguito alla dura politica di repressione del fenomeno voluta da Erdogan, è infine divenuto la centrale esclusiva del Captagon, con laboratori diffusi principalmente nella Valle della Bekaa, non a caso roccaforte di Hezbollah. Questo sino al 2013, quando l’intera produzione si è spostata in territorio siriano, per dissimulare le attività degli sciiti libanesi e per controllare meglio le attività dei laboratori, mentre la Valle del Bekaa è rimasta come zona di transito e smistamento di sostanze attraverso il confine.
La scelta della Siria non è stata casuale: la guerra civile in atto nel paese non permette controlli da parte delle autorità giudiziarie, inoltre i jihadisti hanno potuto sfruttare la disperazione della popolazione locale, che dietro compensi minimi, viene impiegata come manodopera nella produzione dello stupefacente; inoltre la Siria prima dello scoppio del conflitto era una florida nazione industrializzata il che, ha permesso di riconvertire numerosi impianti di produzione farmaceutica in laboratori per metanfetamine.
Il fenomeno si è riconvertito in una vera e propria risorsa per l’economia di guerra che coinvolge anche formazioni jihadiste sunnite, che foraggiano le proprie imprese guerrigliere riscuotendo tasse ai check point e garantendo un passaggio sicuro delle merci illegali attraverso i territori da loro controllati, previo pagamento di denaro.
Se prima queste sembravano solo supposizioni, un documentario realizzato nel 2015 da Radwan Mortada per BBC Arabic (intitolato “Syria’s War Drug”) ha fornito le prime prove concrete che collegano direttamente i gruppi di combattimento dell’Esercito Libero Siriano al commercio di Captagon.
In conclusione il commercio di Captagon marchiato Daesh sembrerebbe aver raggiunto anche le nostre coste quando nel 2017 sono stati intercettati carichi di questo stupefacente nel porto di Gioia Tauro (qualche mese prima anche a Genova): 24 di milioni di pasticche dirette in Libia, la cui vendita in Nord Africa e Medio Oriente, avrebbe fruttato almeno 50 milioni di dollari.
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