Il franco-marocchino Redouane Lakdim, che il 23 marzo scorso nella cittadina francese di Trèbes nei pressi di Carcassonne ha ucciso quattro persone prima di venire eliminato dalle teste di cuoio francesi all’interno di un supermercato, era un volto molto conosciuto dall’intelligence francese e, in particolare, dalla DGSI (Direction générale de la Sécurité Intérieure). Il 26enne era infatti schedato con la lettera “S”, vale a dire a rischio di radicalizzazione, al pari della sua compagna, in stato di fermo dal giorno della strage.

Negli anni scorsi Lakdim era stato posto sotto sorveglianza perché ritenuto organico ad ambienti di islamisti salafiti che sono molto attivi nella regione di Carcassonne. L’uomo era infatti noto per le sue attività di proselitismo e predicazione e per il fatto di non utilizzare alcuna cautela specie sui social network, dove più volte si era esposto con la sua vera identità. Probabilmente era convinto che essendo solo uno dei tanti islamisti che propagano idee violente in Francia, la polizia si sarebbe limitata a inserire il suo nome in un dossier. E così, di fatto, è stato.

 

Perché l’intelligence francese ha “mollato” Lakdim?

Lakdim, che potrebbe anche essere stato un foreign fighter di ritorno dalla Siria (in tal senso sono ancora in corso verifiche ) era stato condannato la prima volta nel 2011 a un mese di prigione con la condizionale in quanto «in possesso di armi senza autorizzazione». In seguito, nel 2015, aveva subito un’altra condanna «per uso di stupefacenti e per non aver obbedito agli ordini». Si trattava, dunque, di un piccolo delinquente passato al radicalismo religioso. La traiettoria è la stessa seguita da moltissimi suoi predecessori andati a fare la “guerra santa” in Siria e Iraq o rimasti a combattere in Europa. Si tratta di soggetti per lo più giovani, passati lungo un percorso contraddistinto da piccoli reati prima, da un processo di radicalizzazione poi (nelle moschee o nelle carceri), fino al compimento di atti terroristici.

Dopo averlo monitorato per un lungo periodo, i servizi segreti francesi a un certo punto hanno “mollato” Lakdim perché impegnati a tenere sotto controllo gente considerata molto più pericolosa di lui. La Procura di Parigi ha dichiarato – forse troppo frettolosamente alla luce di quanto accaduto il 23 marzo – che le indagini effettuate sul suo conto tra il 2016 e il 2017 non avevano mai evidenziato segnali che potevano far presagire a una sua azione terroristica. Gli inquirenti francesi dovevano essere più prudenti, e adesso gli accertamenti sulla sua rete familiare e sulle sue amicizie potrebbero rivelare altre dinamiche che sono sfuggite in un primo tempo. Nelle ore successive all’attentato un minorenne amico di Lakdim (classe 2000) è stato posto in stato di garde à vue (stato di fermo).

 

Moschee e carceri, i punti deboli della Francia

In attesa di conoscere nuovi risvolti di questa vicenda, e di fare chiarezza sull’affiliazione di Lakdim allo Stato Islamico che ha rivendicato prontamente la sua azione, ci sono almeno tre punti che devono far riflettere su quanto accaduto a Trèbes. Il primo riguarda il dipartimento in cui si sono svolti i fatti del 23 marzo, vale a dire quello dell’Aude, confinante con i dipartimenti del Tarn e dell’Hérault a nord, con il dipartimento dei Pirenei Orientali a sud, con quello dell’Ariège a sud-ovest e dell’Alta Garonna a nord-ovest. Solo in questa regione della Francia le moschee e le associazioni islamiche sono ben 34, alcune delle quali considerate dall’intelligence transalpina «oblique e ad altissimo rischio radicalizzazione». In tutto il Paese, gli istituiti considerati “sospetti” sarebbero più di 500. Molti di questi si sarebbero dovuti chiudere già da tempo per la violenza verbale che contraddistingue i loro imam, ma cavilli legali e la preoccupazione di innescare dinamiche politiche estreme cristallizzano una situazione sempre più complessa.

Il secondo punto rimanda al luogo dell’attentato. Per il primo atto terroristico in Francia dopo l’entrata in vigore della nuova legge antiterrorismo, gli islamisti hanno scelto un luogo lontano dalle degradate ZUS (zone urbaine sensible) delle grandi città come Parigi o Marsiglia, optando per la profonda provincia francese sempre più devastata dallo scontro tra l’islam rigorista e lo spirito laico della società francese. Uno scontro culturale testimoniato anche dai risultati di una recente ricerca del ministero della Sanità francese, da cui sono emersi decine di casi verificatisi negli ospedali di vari dipartimenti del Paese in cui infermiere musulmane si sono rifiutate di assistere pazienti uomini, a volte lasciandoli soli senza cure per ore.

Il terzo aspetto, infine, ha a che fare con i numeri. Quanti sono realmente gli islamisti violenti che in Francia sono pronti a entrare in azione come ha fatto Redouane Lakdim? Diecimila o addirittura ventimila? Rapporti riservati dei servizi francesi alzano il tiro parlando di almeno trentamila persone contigue ad ambienti dell’Islam radicale, “movimentati” nella maggior parte dei casi da personalità religiose provenienti dai Paesi arabi e dalla Turchia, presente in Francia con l’associazione Milli Görüs. Tra le 300 moschee che apriranno presto nel Paese sono molte a ricevere finanziamenti e a essere direttamente collegate al governo del presidente Recep Tayyip Erdogan.