Nelle carceri dei Paesi europei il fenomeno della radicalizzazione dei detenuti musulmani è in continuo aumento. Nazioni come Francia, Italia, Germania, Inghilterra e Austria si confrontano da tempo con il fenomeno e, a stento, riescono a contenerlo visto l’elevato numero di rinchiusi.
I numeri in Europa
Qualche dato. In Italia i detenuti stranieri sono circa 11mila distribuiti in 190 carceri. Di questi, 7.500 sono musulmani, tra i quali ci sono anche 150 imam finiti dietro le sbarre per reati di vario tipo. Non va meglio in Inghilterra dove la popolazione carceraria musulmana è arrivata a 13.200 unità, il 15% del totale. In Francia, secondo i dati del 2015, tra le 67.500 persone rinchiuse, sarebbero addirittura tra il 60 e il 70% quelle di religione musulmana. Mentre non si sa con certezza quanti siano i musulmani tra i 64.193 detenuti nelle carceri tedeschi (dato riferito al marzo 2017). Sull’argomento il governo di Berlino non parla. Ipotesi sono state fatte invece dagli stessi esponenti delle comunità islamiche tedesche, secondo i quali la quota si assesterebbe addirittura al 70-75%.
La radicalizzazione nelle carceri avviene grazie alla diffusione non solo di copie del Corano ma anche di veri e propri testi di propaganda jihadista stampati nei Paesi del Golfo (soprattutto in Arabia Saudita) e fatti arrivare in Europa. Questi manuali entrano nelle carceri grazie ad “assistenti religiosi” e imam (spesso sedicenti tali) di stretta osservanza wahhabita-salafita, i quali invece di prevenire il fenomeno della radicalizzazione lo incitano.
La situazione in Austria
La storia recente purtroppo è piena di esempi di detenuti comuni diventati “soldati di Allah” proprio in carcere dal quale, una volta usciti, hanno insanguinato l’Europa con le loro azioni. L’ultimo campanello d’allarme è suonato qualche giorno fa in Austria, e non solo perché a Graz lo scorso 7 dicembre è stato arrestato un cittadino bosniaco di 25 anni accusato di aver pianificato un attentato nel locale mercatino di Natale.
Nel Paese i musulmani sono oltre 500.000 (circa il 6% della popolazione totale), in aumento dai 150.000 (il 2%) dal 1990 e destinati a raggiungere le 800.000 unità (9,5%) entro il 2030. Dal 2 ottobre vige la legge “AGesVG”, acronimo di “Anti-Gesichtsverhüllungsgesetz”, che prevede per le donne musulmane il divieto di indossare burka o il niqab in luoghi pubblici. Ma è una misura che da sola, ovviamente, non basta e che anzi, spesso, finisce per produrre degli effetti controproducenti.
L’Austria accoglie nelle sue carceri 9.000 detenuti dei quali 2.000 sono di religione musulmana. Ramazan Demir, imam attivo nelle carceri austriache per sette anni, ha raccontato in un libro pubblicato nel 2016 la gravissima sottovalutazione del fenomeno dell’estremismo islamico nelle carceri austriache da parte del governo di Vienna. E lo ha fatto senza molti giri di parole: «Ho scritto questo libro affinché gli austriaci conoscano la verità sulle condizioni nelle nostre carceri e naturalmente spero che la politica risponda finalmente agli abusi che ho denunciato». E ancora, «si tratta di prigionieri che si comportano discretamente prima ma poi mutano in bombe a orologeria. Improvvisamente spinti dall’odio, parlano di voler commettere omicidi». Un appello chiaro, che però in Austria è rimasto praticamente ascoltato come dimostrano episodi come quello avvenuto nel carcere di Graz-Karlau nel novembre scorso.
In questo istituto un imam egiziano, ex tassista di stretta osservanza salafita e membro dei Fratelli Musulmani, dopo aver carpito la fiducia delle autorità austriache che lo avevano nominato “assistente spirituale” permettendogli anche di insegnare nelle scuole della regione, è stato scoperto mentre incitava dei detenuti alla rivolta. Il suo progetto, però, non era solo quello di innescare l’ennesima sollevazione contro le “pessime” condizioni carcerarie o, magari, un’evasione di massa, ma molto di più. Il piano – sventato in tempo grazie alle intercettazioni ambientali – prevedeva anche l’uccisione delle guardie carcerarie in quanto ritenute infedeli: «Quando arrivano guardie carcerarie attaccatele brutalmente anche con armi fatte in casa (nelle vostre celle, ndr)».
Il Ministero della Giustizia austriaco ha ammesso l’errore di valutazione: «Riconosciamo che è stato commesso un errore e abbiamo preso le misure necessarie per evitare incidenti del genere in futuro». Pericolo passato? Tutti lo sperano, anche se nessuno sa quanti siano i testi che effettivamente incitano al Jihad in circolazione oggi nelle carceri austriache. Dal 2010 la comunità religiosa Islamischen Glaubensgemeinschaft in Österreich (IGGiÖ) gestisce il patrimonio bibliotecario nelle carceri austriache per «prevenire la radicalizzazione durante la detenzione». Fatti come quello avvenuto nella prigione di Korneuburg, nella Bassa Austria, dove sono stati ritrovati 30 libri di testo che promuovono l’islam salafita violento, fanno però emergere tutte le falle di questo sistema.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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