Da ormai qualche decennio il Messico ha assunto i tratti di un vero e proprio meridiano di sangue tra organizzazioni criminali e Stato. Questa contrapposizione si disputa su due scenari: il primo è rappresentato dalla guerra asimmetrica dei cartelli messicani contro lo Stato, il secondo dal conflitto intestino che vede i cartelli in lotta fra loro.
L’utilizzo del termine “cartello” coincide con la nascita delle prime organizzazioni narcotrafficanti colombiane, mentre attualmente viene utilizzato principalmente per designare quelle messicane. Questa espressione deriva probabilmente dall’uso frequente, in ambito giornalistico negli anni Settanta, del termine utilizzato per designare l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio.
Fino alla fine degli anni Ottanta lo Stato principe del narcotraffico americano era la Colombia, in cui i cartelli di Medellìn e Cali detenevano oltre il 70% della cocaina raffinata mondiale, con un fatturato annuale stimato di oltre 4 miliardi di dollari.
La Colombia è stata anche il teatro dell’ascesa di Pablo Escobar (nella foto), nominato da Forbes come uno degli uomini più ricchi al mondo, la cui strategia bellica riassumibile nel binomio “plata o plomo” (“denaro o piombo”), gli permise di corrompere e di infiltrarsi nelle più alte sfere politiche e giudiziarie del Paese.
In seguito al fallimento della sua carriera politica e al risentimento che da allora iniziò a nutrire nei confronti della classe politica e dirigente colombiana, Escobar ingaggiò una spietata guerra contro lo Stato e i suoi rappresentanti, applicando una vera e propria strategia stragista che portò all’uccisione esponenti politici candidati alle presidenziali, membri di alto livello delle forze dell’ordine, giudici e giornalisti.
Questa strategia, però, non giovò ai suoi affari né a quelli del rivale cartello di Cali. La “guerra personale” di Escobar contro lo Stato portò infatti a un conflitto tra i due cartelli che terminerà con la morte del leader del cartello di Medellìn nel 1993, cui seguì una temporanea egemonia del cartello di Cali fino alla metà degli anni Novanta quando venne anch’esso smantellato.
La fine dei cartelli colombiani favorì una ripresa del controllo dello Stato sui territori in cui la presenza dei narcotrafficanti per anni era stata dominante. Nonostante ancora oggi la Colombia presenti tassi di violenza significativi, la criminalità ha registrato una drastica riduzione rispetto agli anni Novanta, al punto da poter considerare la Colombia come l’unico Stato che si è sostanzialmente ripreso dal baratro in cui il narcotraffico lo aveva fatto precipitare.
La parziale ripresa della Colombia non ha però portato a un’effettiva diminuzione del narcotraffico nel resto del continente americano, bensì a un suo spostamento in altri Paesi. Questo processo può essere definito, secondo il gergo dei reparti anti-droga internazionale, “the balloon effect” o, nella sua traduzione latino- americana sicuramente più suggestiva “efecto cucaracha”. In pratica, allo smantellamento di un cartello e alla conseguente diminuzione di droga prodotta e trafficata in una determinata regione segue il trasferimento del business altrove.
L’“efecto cucaracha” è utile per comprendere come il Messico sia divenuto il nuovo scenario di proliferazione di organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, in seguito allo smantellamento di Cali e Medellìn e all’inasprimento della lotta ai narcos da parte del governo colombiano in quegli anni.
Questo trasferimento evidenzia la natura estremamente proteiforme di queste organizzazioni, che mutano nel corso del tempo per soddisfare la crescente e mutevole domanda del mercato, cambiando la propria forma e il proprio modus operandi per ottimizzare al meglio i profitti.
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