Caso Silvia Romano, dagli

La liberazione di Silvia Romano, rimasta per diciotto mesi ostaggio di Al Shabaab, la rete qaedista che opera tra Somalia e Kenya, è un fatto che ci riempie tutti di legittima felicità. La Romano è stata liberata, primo dato importante, a pochissimi chilometri da Mogadiscio, in un territorio densamente popolato. Questo ci dà il senso delle infinite coperture di cui godono i militanti di Al Shabaab e il loro “reparto” che si occupa del reperimento di fondi e che distribuisce anche viveri e denaro ai più poveri dell’area metropolitana somala. Gli Al-Shabaab, come dice Guido Olimpio, sono da sempre “mercanti e terroristi” collegati con le antichissime reti del commercio illegale e con il grande affare della pirateria davanti al Corno d’Africa, un business da 120 milioni di usd l’anno. Se ci si ricorda che il reddito medio annuo ufficiale di un somalo è di 600 usd, si può bene immaginare quanto sia importante la pirateria per tutta la popolazione.

Gli ossi

I nostri Servizi hanno operato, come sempre accade in questi casi, in collaborazione con quelli kenyoti, somali e in stretto rapporto con il MIT, il Servizio turco. Il Servizio italiano è stato costantemente presente in Kenya e poi in Somalia, fin dai primi giorni dopo il rapimento della Romano, e gli operativi dell’AISE (gli “ossi”, in gergo) che hanno liberato la cooperante milanese sono gli stessi che si sono precipitati, diciotto mesi fa, nelle aree dove era avvenuto il rapimento.

Il ruolo della Turchia

La Turchia ha oggi molto a che fare con la Somalia: Ankara è presente in forze in tutto il Corno d’Africa da almeno 19 anni, e i turchi operano sia come addestratori unici delle FF.AA. somale che come proprietari di tutte le società commerciali e di trasporti di Mogadiscio e inoltre referenti della più grande ONG operante in Somalia. C’è il petrolio somalo che molto interessa ad Ankara, soprattutto quello off-shore, oltrealla presenza economica dei turchi anche in Sudan, con i 13 accordi economici firmati anni fa.A Gibuti i sauditi hanno una base militare, dove ci sono altre cinque basi armate, tra cui una italiana. Ad Assab c’è una base degli Emirati e anche una postazione di Riyadh. E non dimentichiamo nemmeno che esiste un contezioso, davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, sulla delimitazione delle acque kenyote rispetto a quelle somale, dove operano già società petrolifere turche.

LEGGI ANCHE: SILVIA ROMANO, TANTE STRADE PORTANO A DOHA
LEGGI ANCHE: SILVIA ROMANO LIBERATA DAI SERVIZI ITALIANI CON L’AIUTO DELLA TURCHIA

La Turchia opera soprattutto per evitare l’arrivo di sauditi ed egiziani nell’area, strategica, del Corno d’Africa, dove i turchi sono oggi amati dalla popolazione, anche perché sono islamici, mentre si nota un progressivo rifiuto della presenza cinese, nel Corno come altrove in Africa, in quanto si pensa che i cinesi siano troppo “rapaci”. Ankara è in stretta collaborazione con il Qatar (che ospita la rete satellitare Al Jazeera, cioè la vecchia rete in arabo della BBC) e protegge con forza la Fratellanza Musulmana, che ha avuto un ruolo non trascurabile anche nella fondazione dell’AKP, il partito di Erdogan. Sia il Qatar che la Turchia giocano soprattutto contro i sauditi e i loro alleati. Mentre Al Sisi, l’attuale Rais egiziano, è andato al potere organizzando un golpe militare proprio contro Mohammed Morsi, il presidente eletto e capo politico egiziano dellaFratellanza Musulmana. Dove c’è un vuoto strategico, la Turchia tenta subito di riempirlo. E le grandi partite nel Mediterraneo che Ankara sta giocando sono due: la Libia, con il sostegno ad Al Serraj e al governo di Tripoli, un sostegno fatto di jihadisti che da Idlib in Siria i Servizi turchi hanno trasferito in Tripolitania; e di armi sofisticate concesse a Tripoli, con il sostegno del Qatar.

I rapporti Italia-Turchia

Ma soprattutto c’è ben altro: la gestione turca dell’area di petrolio e gas che proprio l’ENI ha recentemente scoperto nel Mediterraneo orientale.
La Zona Economica Esclusiva turca, recentemente definita, va dalle coste tripoline fino a Kastellorizo e a una parte del Dodecanneso, per poi raggiungere le coste meridionali dell’Anatolia e tutta l’area marittima che si trova davanti alle coste della Cipro turca. Facile pensare che i servizi turchi, in cambio di un loro sostegno agli operativi dell’AISE, abbiano chiesto uno scambio: noi vi aiutiamo a liberare Silvia Romano, ma voi italiani ci date mano libera in Tripolitania, oppure ci confermate l’accettazione de facto della nostra ZEE dalle coste di Tripoli fino all’Anatolia. Siccome l’Italia non fa più politica estera da anni, è molto probabile che questa transazione con la Turchia sia stata accettata senza fiatare, visto che quello che contava, per i nostri governanti, era solamente di farsi una sciagurata foto con Silvia Romano, a Ciampino, appena discesa dal Falcon 900 dell’AISE. È assurdo questo desiderio di apparire e annunciare invece che di governare!La Repubblica delle Procure

Naturalmente, la nostra “Repubblica delle Procure” non si è fatta mancare nemmeno la “apertura di un fascicolo” da parte del solito magistrato, che ha subito interrogato la ragazza in una caserma del ROS dei Carabinieri, sulla Salaria. Mi immagino già i jihadisti di Al Shabaab terrorizzati dalla notizia che, tra qualche anno, arriverà nelle foreste somale un ufficiale giudiziario a consegnarli la citazione…

Riscatti e risorse

Certo, c’è anche il problema dell’eventuale riscatto. È probabile che qualcosa sia stato pagato, ma nessuno ne avrà mai la certezza. L’Italia preferisce pagare un riscatto (come accadde nel caso della Sgrena, catturata dai jihadisti e dai banditi comuni in Iraq) o in quello delle famose, ai loro tempi, “due Simone” per poi togliersi rapidamente dall’area, evitando di impegnare forze militari stabili e evitando, soprattutto, di farsi dei nemici giurati in Medio Oriente o in Africa, zone petrolifere e economiche per noi di estremo interesse. È una scelta. Si noti poi che i rapimenti di personale occidentale, insieme al traffico di droga e al contrabbando, sono le maggiori fonti di finanziamento per tutti i gruppi jihadisti e islamisti, sia in Africa che altrove. I nostri cooperanti vengono chiamati walking money, “denaro che cammina”. Certo, nessun governante italiano della Prima Repubblica si sarebbe presentato a Ciampino per la foto con la Romano e anzi avrebbero cercato di fare pressioni per limitare le notizie sulla liberazione e su tutto il resto. E avrebbero fatto bene. Se si passa ancora una volta l’idea che l’Italia è l’unico Paese occidentale che oltre a pagare lo promuove ai quatto venti, nessun nostro cooperante sarebbe al sicuro in Africa o in altre parti del Mondo. Inoltre, non mi risulta che al momento ci sia un monitoraggio attento delle varie ONG (alcune professionali altre meno) che mandano cooperanti italiani in Africa e nel Grande Medio Oriente. Sarebbe bene invece che ci fosse, per sapere subito chi e come potrebbe essere, da un momento all’altro, in gravissimo pericolo.

Pubblicato su alleo.it