Il soldato ucraino Vitaly Markiv con cittadinanza italiana accusato della morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli è stato condannato a 24 anni di carcere dalla Corte d’Assise di Pavia. Di seguito le considerazioni dell’Ambasciatore d’Ucraina, Yevhen Perelygin, nel merito della sentenza pronunciata dal Tribunale di Pavia contro Vitaly Markiv.
La condanna della Corte d’Assise di Pavia a 24 anni di reclusione per il soldato ucraino Vitaly Markiv, annunciata dalla Presidente della Corte, ha stupito e scioccato l’Ucraina e sdegnato la comunità internazionale giuridica e giornalistica.
Non vorrei entrare in merito del dibattito storico italiano sulle interferenze della politica nelle decisioni della magistratura, ma il fatto è che ad aggiungersi alle decine di prigionieri politici ucraini in Russia adesso abbiamo anche un prigioniero politico ucraino in Italia!
Altrimenti come possiamo comprendere questo “giudizio pavese” che non solo ha distrutto l’alta immagine della giustizia europea ma, come ha affermato il noto penalista italiano e avvocato di Vitaly Markiv, Raffaelle Della Valle, “una sentenza del genere, senza una prova, fa perdere fiducia nella giustizia italiana”.
E questo è proprio il punto: durante le diciassette sedute l’accusa non ha presentato alla Corte alcuna prova certa e inconfutabile a dimostrazione di una qualsiasi responsabilità di Vitaly Markiv per la morte del fotoreporter Andrea Rocchelli, né del fatto che gli spari che hanno ucciso Rocchelli provenissero dall’esercito ucraino.
Su tutti i passaggi dell’accusa nella ricostruzione dei fatti mancano le prove certe!
Mentre, le prove presentate dall’Avvocato Della Valle, che in sei ore di arringa ha smontato i capisaldi dell’accusa, non venivano neanche considerate dai Giudici. Fra le tante cose, è inspiegabile il motivo per cui i Giudici della Corte di Pavia si sono rifiutati di considerare l’ultimo video di Andrea Rocchelli (girato alcuni istanti prima della sua morte) dove si distinguono molto bene gli spari a lui vicini e dove gli accompagnatori di Rocchelli si sentono parlare in russo di “fuoco incrociato” e di un “mortaio che sta vicino”, in quegli stessi istanti Vitaly Markiv si trovava sulla collina all’incirca di due chilometri di distanza!
Altrettanto sconcertante è il fatto che i Giudici di Pavia non abbiano voluto esaminare con la debita attenzione il taxi in cui stava Rocchelli, crivellato da colpi di arma da fuoco con fori d’uscita sul tetto e fori d’entrata alle portiere, che prova come gli spari al veicolo provenivano dal basso e non dall’alto!
Questi fatti incontrovertibili dichiarano, alle persone ragionevoli, come a sparare furono i separatisti filo-russi!
Altro fatto assai grave è che l’accusa si è rifiutata di effettuare i dovuti sopralluoghi e le debite indagini nella zona del crimine, preferendo utilizzare immagini e fotografie per ricostruire i fatti, fatto davvero sconcertante in un procedimento come questo dove l’obbligo è fare chiarezza.
Leggendo questa sentenza, la Presidente della Corte, visibilmente confusa e preoccupata, balbettava e pronunciava le parole a metà e con voce tremula. Forse questo è il segno che almeno per lei questa decisione non è assolutamente convincente.
Ciò che sconcerta l’Ucraina e la comunità ucraina in Italia, che comunque si stringe al dolore della famiglia Rocchelli per la perdita del proprio figlio, è il dato, preoccupante, di trovarsi di fronte ad una giustizia in cerca di un colpevole e non del vero colpevole.
Per presentare le motivazioni della condanna la Corte ha chiesto il termine di 90 giorni, un termine così ampio ad una condanna così dura e pesante suggerisce solo l’incertezza della posizione della giustizia italiana di fronte al caso Markiv. Di fronte alla condanna pronunciata a 24 anni di reclusione la Corte avrebbe già dovuto mostrare ogni ragione all’atto stesso della sentenza, qualora la stessa fosse stata davvero motivata. Invece no, le ragioni verranno scritte nei prossimi 90 giorni. Dopodiché il processo continuerà in Corte d’Appello.
A tutti i giornalisti italiani che si sono già affrettati a presentare nei loro articoli e servizi il soldato Vitaly Markiv come un “killer” ricordiamo il principio costituzionale di innocenza secondo il quale un imputato deve essere considerato «non colpevole» fino a quando non sarà emessa una condanna definitiva.
Vitaly Markiv è un semplice soldato, con onore e coraggio ha difeso il suo Paese dai militari russi che penetravano l’Ucraina occupandone la regione del Donbas. Vitaly, come è stato ampiamente dimostrato, si è sempre relazionato con rispetto e amicizia nei confronti dei giornalisti italiani che si trovavano in quella zona di guerra, dando loro anche aiuto e protezione quando è stato necessario. Senza dimenticare i rischi cui si sottopone un civile che si rechi volontariamente in uno scenario dominato da un conflitto a fuoco, Vitaly Markiv ha dimostrato costante supporto ai giornalisti in Donbas.
Questa disponibilità e questo senso di protezione da parte del soldato ucraino è stata strumentalizzata dagli stessi giornalisti cui Vitaly, al fine di proteggerli dai pericoli, aveva a suo tempo intimato di allontanarsi dalle zone di combattimento, quelle parole, volte a proteggere la vita dei civili giornalisti, per assurdo sono state usate contro Markiv, contribuendo a creare l’accusa nei suoi confronti.
Per più di due anni di detenzione illegale Vitaly Markiv ha dimostrato coraggio, forza e patriottismo, così come dimostrano tutti i giorni i nostri prigionieri politici nelle carceri russe!
Crediamo ancora nella giustizia italiana, per questo ci auguriamo che il ricorso in Appello restituisca la libertà e la dignità a Vitaly Markiv.
Per eventuali commenti o risposte scrivere a paesiedizioni@gmail.com
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