È del 13 gennaio la notizia della cattura di Cesare Battisti in Bolivia. Un’operazione dell’Interpool che mette fine alla latitanza del terrorista italiano di estrema sinistra che durava dal 1981. Evaso dal carcere Battisti ha prima trovato rifugio in Francia, poi in Messico e infine in Brasile. Qui ha trovato asilo sotto il governo del presidente Lula che ne ha sempre negato l’estradizione nonostante le ripetute richieste del governo italiano.
Sull’annoso caso Battisti che qualcosa potesse cambiare lo si avvertiva nell’aria da qualche mese. Già il 2016 aveva segnato un punto di flessione della leadership lulista in Brasile, tanto da far slittare la presidenza da Dilma Rousseff a Michel Temer. Le elezioni presidenziali del 2018, che hanno visto trionfate il leader di estrema destra Jair Bolsonaro, non hanno fatto altro che confermare il cambio di rotta politico nel Paese, facendo così tramontare ogni speranza di “tutela” per Battisti.
Cos’è cambiato in Brasile? Il decreto di estradizione nei confronti del terrorista italiano è stato firmato dal presidente uscente Temer lo scorso 14 dicembre. Un passaggio reso possibile solo per la dipartita politica del Partito dei Lavoratori brasiliano. La vittoria di Bolsonaro ha infatti rafforzato la stabilità dell’Amministrazione Temer, il quale ha ratificato l’estradizione appena gli è stato materialmente possibile.
Un provvedimento che, ovviamente, era atteso dal latitante e che, quindi, non lo ha colto affatto alla sprovvista. La nuova fuga di Cesare Battisti, tuttavia, si è arenata a Santa Cruz in Bolivia il 13 gennaio quando l’Interpool ha individuato il fuggiasco. A tradirlo, stando a quanto emerso nelle ultime ore, è stata l’intercettazione di una connessione web di uno dei suoi dispositivi. Termina così la latitanza di uno degli uomini più ricercati dalle autorità italiane. Battisti è stato trasferito al carcere di Oristano dove, in attesa di giudizio, passerà sei mesi in isolamento.
In questa vicenda un aspetto interessante da analizzare è l’atteggiamento di Brasilia che, con questa mossa, ha di fatto riaperto al dialogo con Roma. Un dialogo raffreddatosi molto negli ultimi anni, proprio per la spinosa questione di Battisti e che il governo italiano finora non aveva fatto deragliare per salvaguardare importanti contratti di forniture militari.
Un ostacolo superato adesso con l’assunzione della presidenza di Bolsonaro, che già in campagna elettorale aveva sottolineato come l’estradizione di Battisti fosse una delle priorità del suo mandato. Promessa rispettata e che rappresenta un atto di coerenza rispetto all’impegno di marcare in modo perentorio le distanze rispetto alla leadership lulista che lo ha preceduto per anni alla guida del Brasile. Bolsonaro intende ora “eliminare” l’ideologia lulista dal Paese, puntando ad abbattere sul nascere i piani di ripresa del Partito dei Lavoratori.
Il “tradimento” di Morales
Se fin qui tutto o quasi tutto – è stato detto dai media italiani sulla cattura di Cesare Battisti, occorre comunque ripercorre gli ultimi passi compiuti dal terrorista italiano da uomo libero. Perché Battisti ha scelto proprio di trasferirsi in Bolivia. Il motivo è semplice. Spostandosi in Paraguay sarebbe stato subito consegnato alle autorità italiane. In Bolivia, invece, la situazione è molto diversa. Il Paese rappresenta oggi l’ultimo avamposto socialista stabile (a differenza del Venezuela, Paese tra l’altro impervio da attraversare viste le grosse contrapposizioni interne) a cui Battisti avrebbe potuto richiedere asilo per evitare l’estradizione. In Bolivia è ancora ben salda alla leadership una formazione politica socialista molto amica con quella lulista brasiliana e, quindi, di riflesso avrebbe potuto rappresentare per Battisti un “rifugio sicuro”.
Ma, allora, perché la latitanza di Battisti in Bolivi è durata così poco? Il 18 dicembre Battisti ha sottoposto una richiesta di asilo alla Comisión Nacional de Refugio de Bolivia dichiarandosi innocente per le accuse mossegli dal tribunale italiano. Una richiesta che dimostra che Battisti si trovasse già allora in Bolivia e che lo stesso governo andino ne fosse a conoscenza. Ne consegue che ciò che ha consentito all’Interpool di restringere in modo determinante il cerchio delle ricerche attorno a lui, e di monitorarne ogni spostamento in attesa di una risoluzione diplomatica della vicenda, sia stato proprio il ritardo con cui il governo boliviano si è volutamente dimostrato poco reattivo alla richiesta di Battisti. Per il presidente Evo Morales, ben consapevole di essere in netto svantaggio sul piano ideologico in Sud America, il “tradimento” di Battisti è stata una mossa obbligata. Il presidente, è bene ricordarlo, ha anche presenziato all’investitura di Bolsonaro e quest’anno affronterà le elezioni presidenziali nel proprio Paese in un clima non proprio a lui favorevole. Morales ha perso parte della propria popolarità dopo la decisione unilaterale di sospendere l’articolo costituzionale che ne sanciva l’ineleggibilità per un terzo mandato consecutivo. Concedendo l’asilo a Battisti avrebbe ulteriormente perso popolarità e, inoltre, avrebbe ulteriormente minato i rapporti (già tesi) con il vicino Brasile.
Proprio sui rapporti con il Brasile, Morales sta cercando adesso di tutelare gli interessi della Bolivia a fronte soprattutto della possibile costruzione di un corridoio transoceanico. Il progetto ferroviario internazionale inizialmente doveva partire dalle coste del Perù, passare per la Bolivia e finire sulle coste brasiliane. Ma proprio Bolsonaro ha aperto un secondo tavolo di trattative con il Cile. Un’alternativa, quella cilena, che di fatto escluderebbe Morales da ogni trattativa e darebbe ancor più forza alla sovranità cilena nelle regioni del nord sulle quali la stessa Bolivia ha avanzato delle pretese sovrane presso il Tribunale dell’Aia. Cercare un dialogo con Bolsonaro era dunque inevitabile per Morales, e per questo motivo il presidente boliviano ha sacrificato Battisti.
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