Il ritiro delle truppe americane dalla Siria, le trattative per la spartizione del Paese, il caso Kashoggi e le conseguenze per Mohammed Bin Salman, lo scontro tra Riad e Teheran. Analisi a trecentosessanta gradi di ciò che sta accadendo in Medio Oriente con Morris Mottale, professore di Relazioni Internazionali e Politica Comparata alla Franklin University Switzerland.
Cosa pensa della decisione di Donald Trump di ritirarsi dalla Siria?
È una decisione che non sorprende chi ha seguito la politica di Trump sin dall’inizio della sua campagna elettorale. Una delle sue promesse era di diminuire l’intervento americano nelle guerre oltremare dove gli interessi americani non sono così importanti. La sua decisione è ben accettata dalla maggioranza degli americani e da strati molto importanti sia del partito repubblicano che di quello democratico. Questo non significa che l’America si ritira dal Medioriente. Infatti, come dimostra il caso dell’Iraq e di molti Paesi africani, gli americani sono sempre presenti “dietro le quinte” con la CIA e con le loro forze speciali. Però un intervento militare è una politica che, come Obama in passato, Trump vuole evitare. Posso anche aggiungere che molti generali americani approvano questa decisione, benché il generale Mattis abbia dato le dimissione in segno protesta. Trump ha anche deciso di ritirare la metà delle truppe americane dall’Afghanistan lasciando l’altra metà in ruoli di consiglieri militari.
Non crede che così Assad, Erdogan e Putin si spartiranno la Siria?
Non è cosi facile spartire il Paese. Altre potenze regionali hanno interessi politici in Siria, per esempio Israele, Iran, Arabia Saudita ed Egitto, Stati che giustamente sospettano Erdogan di mire politiche ed espansioniste tracciate dalla storia ottomana. Ci saranno anche potenze europee, principalmente la Francia e l’Inghilterra, che si opporranno all’espansionismo turco e russo. In quanto a una spartizione tra Mosca e Ankara, è probabile che turchi e russi si troveranno potenzialmente in disaccordo su campi opposti sia politicamente che ideologicamente. Posso aggiungere che non si può sottostimare la politica della classe clericale sciita iraniana che ideologicamente ha problemi fondamentali col neo-ottomanesimo di Erdogan.
Quello di Trump rappresenta l’ennesimo tradimento patito dai curdi?
La storia dei curdi, fin dal 1918, si è trovata sempre in conflitto col mondo politico turco, arabo e persiano. I curdi in Siria non cercano l’indipendenza, bensì un’autonomia regionale “simpatizzata” dai russi, ma che Erdogan detesta perché secondo lui rinforza le tendenze separatiste curde nella Turchia stessa. I curdi stessi in Medio Oriente sono divisi tra tradizioni politiche e religioni diverse che non facilitano lo sviluppo di una sistematica e consistente politica nazionale curda nella regione.
Che idea si è fatto della vicenda Khashoggi? Ci sono un colpevole e un movente?
È un esempio dei conflitti tra le élites saudite. Kashoggi stesso era un simpatizzante dei Fratelli Musulmani che sono adesso considerati nemici dalla ristretta cerchia che controlla il governo saudita, in quanto considerati sostenitori della primavera araba e dell’instabilità politica in Paesi come l’Egitto. Kashoggi è diventato una celebrità internazionale perché la stampa occidentale ha bisogno di icone e “santi” nel suo tentativo di acquistare un ruolo di preminenza nella condotta delle relazioni internazionali. In Medio Oriente, Turchia compresa, giornalisti, scrittori e oppositori politici ai vari regimi scompaiono molto spesso. La posizione di Erdogan è quella tipica dell’ipocrisia di un certo mondo politico, sia mediorientale che europeo.
Chi è davvero l’erede al trono saudita, il principe Mohammed bin Salman?
È un principe che è riuscito a raggiungere l’apice della potenza del sistema politico saudita esautorando cugini e parenti. L’affare Kashoggi ha indebolito la sua posizione nel sistema interno politico saudita che, paradossalmente, lo constringerà ad avvicinarsi sempre più agli Stati Uniti e anche a Israele.
Arabia Saudita e Iran sono destinati allo scontro militare o si può fermare l’escalation di tensione?
È uno scontro ideologico senza soluzioni militari che continuerà per un’altra generazione. I mullah sciiti e i principi sauditi wahhabiti si combatteranno per procura come lo dimostra l’esempio in Yemen, Palestina e altrove nel mondo islamico.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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