Una delle critiche su cui era si era appuntata la crisi di governo innescata da Matteo Renzi nei mesi scorsi era dovuta al fatto che Giuseppe Conte conservasse per sè la delega ai Servizi, salvo poi affidarla in extremis a Pietro Benassi, rimasto in carica poco meno di un mese.
Mario Draghi, successore di Giuseppe Conte, poche settimane dopo il voto di fiducia che l’ha investito Presidente del Consiglio nomina il prefetto Franco Gabrielli sottosegretario con delega ai Servizi.
Franco Gabrielli nasce a Viareggio il 13 febbraio del 1960. Dopo aver conseguito una laurea in Giurisprudenza, entra nella Polizia di Stato, nel 1985, avendo vinto un concorso pubblico come Vice Commissario. A partire dal 1987 è impiegato alla Digos di Imperia, partecipando alle indagini per lo smantellamento delle Brigate Rosse. Tre anni dopo viene destinato alla Sezione Antiterrorismo della questura di Firenze per la quale coordina le indagini riguardanti le stragi mafiose del 1993.
Nel 2000, invece, arriva nella Questura di Roma, dove assume il ruolo di dirigente della Digos Capitolina. Qui dà un importante contributo alle indagini che portarono alla cattura dei brigatisti responsabili degli omicidi D’Antona, Biagi e Petri e per questo viene promosso, per meriti straordinari, al ruolo di dirigente superiore della Polizia di Stato.
Ma la vera svolta nella sua carriera avviene nel 2006: a 46 anni il governo presieduto da Romano Prodi lo nomina prefetto e direttore del Sisde, il servizio segreto interno oggi conosciuto come Aisi a seguito della riforma del 2007. Tuttavia, il successore del professore bolognese, Silvio Berlusconi, revoca la nomina di Gabrielli sostituendolo col Generale dei Carabinieri Piccirillo.
Negli anni successivi, sempre in qualità di prefetto, si occupa dei problemi più disparati ricoprendo numerosi incarichi. Nel 2009-2010 è vicecommissario per l’Emergenza dovuta al terremoto in Abruzzo a fianco del Commissario Guido Bertolaso. Sarà proprio a quest’ultimo che Gabrielli succederà come Capo della Protezione Civile. Nel 2011 il Presidente del Consiglio Mario Monti lo conferma nell’incarico, nominandolo l’anno successivo Commissario per l’emergenza successiva al naugragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio. In questa veste, sovrintende al controllo del trasporto della nave a Genova e della sua demolizione, tutte operazioni che erano demandate all’armatore.
I successivi governi, Letta e Renzi, confermano Gabrielli alla Protezione Civile fino al 2015, quando l’attuale leader di Italia Viva lo nomina prefetto di Roma. È «il sogno della mia vita», afferma nel 2016 quando viene nominato Capo della Polizia, raccogliendo il testimone ideale dell’amico e collega Antonio Manganelli, suo predecessore al Dipartimento di Pubblica Sicurezza, deceduto nel 2013.
In qualità di Capo della Polizia si è sempre adoperato per una maggiore trasparenza all’interno del corpo e del comparto sicurezza in generale. Nel 2016, ad esempio, si spende con l’allora governo Renzi per l’emanazione di una legge sull’obbligo per gli agenti di Pubblica Sicurezza di informare i superiori sull’andamento delle indagini e sulle notizie di reato di cui erano a conoscenza (regolamento che già esiste per i Carabinieri e la Guardia di Finanza). Tuttavia, un anno più tardi, la Corte Costituzionale cancella questo obbligo dichiarandolo incostituzionale.
Nel 2019 fanno molto rumore le sue dichiarazioni sul caso Cucchi:
Credo che quanti, negli anni, hanno dato giudizi avventati sulla vicenda Cucchi dovrebbero oggi chiedere scusa ai familiari, ma vedo un approccio manicheo e giudizi espressi con l’emotività del momento.
Commenti che fecero scalpore perchè sembravano una risposta indiretta a quanto aveva detto poco prima l’ex Ministro Salvini, commentando la medesima vicenda: «La droga fa male, sempre e comunque».
La sua azione si fa sentire anche durante il governo Conte. Nell’ottobre 2020, infatti, il Ministro della Salute Speranza avanza l’ipotesi di servirsi della delazione tra vicini, qualora si fossero svolte feste private in casa, inserendola in un Dpcm. Il Presidente del Consiglio coinvolge allora il Ministro dell’Interno Lamorgese affinchè chiarisca perché questa forma di controllo non è possibile, se non anticostituzionale. Il Ministro Lamorgese fa di più e chiede un parere tecnico al capo della polizia, il prefetto Franco Gabrielli, il quale in poco tempo esprime il suo parere tecnico. Il parere è negativo, oltre che per questioni di ordine giuridico, anche per questioni di ordine pratico: convolgere le forze dell’ordine in controlli che «potrebbero nascere da meccanismi delatori, rivalità e dissidi di vicinato», sarebbe sbagliato e controproducente.
Inoltre, ricorda Gabrielli, c’è la Costituzione a vietare espressamente irruzioni della polizia in abitazioni private: « L’articolo 14 della Costituzione riconosce l’inviolabilità del privato domicilio». Le eccezioni all’articolo 14 della Carta sono possibili «solo nei casi e nei modi stabiliti dalla legge e nel rispetto delle garanzie».
La restrizione del diritto – le perquisizioni di privati- sono possibili solo se trovano fondamento in fonti primarie (leggi votate dal parlamento dunque, non Dpcm emanati dall’esecutivo) e autorizzate dalla magistratura. La tutela della salute e dell’incolumità pubblica, non sono ragioni sufficienti per derogare alla legge. Rimane la riserva assoluta di legge e di giurisdizione.
Usando una provocazione, il prefetto Gabrielli spiega che ci sarebbe un modo per dare alla polizia il potere di controllare cosa succede in abitazioni private: «Il Parlamento dovrebbe dichiarare lo stato di guerra e conferire al governo i poteri necessari per farvi fronte». Eppure, anche questa non sarebbe una soluzione definitiva, perchè «a Costituzione vigente, non esistono deroghe per ragioni di ordine e sicurezza pubblica come quelle previste dall’articolo 48 della Costituzione di Weimar». Si tratta della Costituzione tedesca dal 1919 fino alla presa del potere da parte di Hitler nel 1933.
Franco Gabrielli, capo della Polizia di Stato, durante la celebrazione dei 120 anni dell’INPS, Roma, 14 dicembre. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Michele Rosini
Nato a Livorno nel 1989, studia studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università di Pisa. Appassionato di geopolitica e politica italiana. Europeista e atlantista, parla fluentemente inglese e spagnolo, un po' di tedesco e di olandese.
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