Sei mesi di violenze, devastazioni, due morti e più di 4.500 tra arresti e fermi, oltre a numerosi di suicidi avvenuti per ragioni poltiche. Davanti alle proteste che hanno scolvolto la città stato di Hong Kong si può fare un bilancio tra vincitori e vinti. La storia la scrivono i vincitori, la celebre frase potrebbe adattarsi al caso della leader di Taiwan Tsai Ing-wen, di nuovo in corsa per un secondo mandato da presidente alle prossime elezioni previste per l’11 di gennaio 2020. Chi perde è la polizia, che serra i ranghi, sceglie la repressione. Perde anche il governo locale, che appare inerte e stenta ancora ad avviare un dialogo con la popolazione del Porto dei Profumi, l’unico modo utile a porre fine ai dirsordini e a placare la furia dei manifestanti.
La controversa legge sull’estradizione, ormai formalmente ritirata dalla governatrice di Hong Kong Carrie Lam, aveva ispirato le manifestazioni di giugno, prima che la brutalità esplodesse sull’isola. L’emendamento alla legge era stato proposto dopo un crimine commesso a Taiwan, così aveva sostenuto la leader filocinese Lam. Chan Tong-kai, uno studente di 20 anni reo confesso, aveva ucciso la fidanzata, incinta di 4 mesi, proprio durante una vacanza nell’ex Formosa. Il governo di Hong Kong ha sostenuto che l’omicida sarebbe disposto a consegnarsi a Taipei di sua spontanea volontà. Ma la presidente Tsai di Taiwan ha dimostrato lungimiranza politica rifiutando di farsi consegnare il ragazzo. Ora per Tsai, la giusta punizione di un assassinio, Chan Tong-kai non può essere sottoposto a processo per un crimine commesso al di fuori di Hong Kong, vale meno del futuro della democrazia della provincia ribelle che Xi Jinping vuole ad ogni costo riannettere al resto della Cina.
Le proteste di Hong Kong e la dura repressione del dissenso popolare, l’erosione delle libertà civili e politiche degli hongkonghesi, sono la dimostrazione lampante di quello che potrebbe diventare un giorno la piccola Taiwan, per la quale Xi sogna di applicare una formula “un Paese, due sistemi” sperimentata e adottata in modo piuttosto discutibe ad Hong Kong. Davanti al pugno di ferro mostrato da Tsai verso Pechino, davanti al suo rifiuto dei piani cinesi, ribadito più volte, la leader progressita, con la fama di politica moderata dai toni bassi e pacati, riguadagna terreno nei sondaggi. Tsai ora è data per favorita alle decisive elezioni presidenziali di gennaio, il suo consenso sarebbe superiore al 40% tra la popolazione di Taiwan. Dallo scorso febbraio, Tsai avrebbe fatto perdere almeno 20 punti percentuali al candidato del Kuomintang, il populista ex sindaco di Kaohsiung Han Kuo-yu, che invece promette legami commerciali più forti e rapporti più saldi con la Cina. La sorte di Tsai appare ribaltata, soltanto un anno fa le sue chance di essere rieletta erano appese a un filo, anche a fronte della disfatta che il suo partito, il Partito Democratico e Progressista, aveva subito alle elezioni locali. Tsai sembrava aver perso il contatto con la sua base elettorale, le sue promesse di rinnovare l’economia non si erano avverate, i giovani di Taiwan che l’avevano voluta al potere nel 2016, dopo un processo iniziato con la Riviluzione del Girasole del 2014, l’avevano abbandonata. Oggi, invece, scrive Asia Nikkei, almeno il 50% della popolazione tra i 20 e i 39 anni vorrebbe la rielezione di Tsai, come conseguenza della rivolta di Hong Kong.
Uno studio recente dell’Hong Kong Public Opinion Research ha rivelato che sette cittadini su dieci credono che le polizia abbia agito in maniera non professionale contro i manifestanti, abusando del proprio potere e compiendo arresti indiscriminati. Tra le richieste dei cittadini di Hong Kong ci sono un’inchiesta indipendente sul ruolo della polizia nel controllo dell’ordine pubblico e le dimissioni di Carrie Lam. Pechino ha nominato un nuovo capo della polizia locale e non sembra ancora disposta ad intervenire direttamente ad Hong Kong. Intanto, molti hongkonghesi turbati dalle violenze, iniziano a non sostenere più i manifestanti che hanno scelto la strada della violenza cieca.
Photo: The New York Times
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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