Grandi infrastrutture, progetti avveniristici, concessioni di prestiti onerosi a governi in crisi e, se necessario, rapporti di cooperazione con i competitor per colmare i gap di know how. La nuova frontiera del colosso cinese CCCC (China Communications Construction Company), nato nel 2005 da una fusione tra CHEC (China Harbour Engineering Company) e CRBC (China Road and Bridge Group) sotto la supervisione del governo di Pechino, è l’Africa Occidentale.
Con 120mila dipendenti sparsi in giro per il mondo e circa 70 miliardi di dollari di fatturato nel 2016, CCCC punta a radicare la propria presenza lungo la parte centro-occidentale del continente africano. Il piano è aumentare non solo la costruzione di porti, autostrade e linee ferroviarie, ma anche di porti in acque profonde (CCCC ha in programma di costruirne otto dei dieci che vedranno la luce nei prossimi anni), ponti sospesi, tunnel sottomarini, città e isole artificiali.
Finora il principale laboratorio della Cina in Africa era stata l’Etiopia. Qui dal 2008 sono stati realizzati lavori per 2,4 miliardi di dollari, compresi una serie di poli industriali e 2.500 km di autostrade. E in cantieri ci sono altri progetti per oltre 3,6 miliardi di dollari, tra cui l’ampliamento dell’aeroporto internazionale di Addis Abeba-Bole.
Da qualche anno a questa parte, complici le difficoltà e le strategie incerte di Paesi come Francia e Regno Unito che per secoli hanno fatto dell’Africa il loro “giardino di casa”, Pechino ha però deciso di allargarsi anche a occidente.
Nel febbraio del 2016 a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, è stato lanciato il progetto per la costruzione di un ponte nella parte sud del fiume Congo. In Gambia dal luglio scorso CHEC ha avviato i lavori di ammodernamento del porto di Banjul con la mission di portarlo ai livelli del vicino porto di Dakar in Senegal. Sempre a luglio CHEC ha messo le mani sul porto di Tema in Ghana e ottenuto una concessione per i prossimi 25 anni del porto in acque profonde di Kribi in Camerun, attivando una joint venture con le francesi Bolloré e CMA CGM. In Camerun, inoltre, China First Highway Engineering, una delle controllate di CCCC, ha già realizzato l’autostrada Douala-Yaoundé (215 km) e vinto l’appalto per realizzare entro il 2018 altri 38 km tra Kribi e Mboro.
Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, CHEC dovrebbe completare nel 2018 l’estensione del canale di Vridi (espansione della larghezza da 150 a 250 metri e profondità da 13 a 20 metri), principale via d’accesso al porto locale dall’Oceano Atlantico, anche se finora solo il 40% dei lavori è stato terminato. Sempre in Costa d’Avorio la Cina attraverso Eximbank copre oltre la metà di un maxi prestito destinato al governo ivoriano (in totale 860 miliardi di franchi CFA, la valuta utilizzata da 14 Paesi africani) per la realizzazione del tratto dell’autostrada costiera che in futuro collegherà il Senegal all’Angola.
In Gabon CRBC ha firmato a luglio un accordo per costruire 862 km di strade e, al momento, sta completando i 93 km che uniscono Port-Gentil a Omboué. In Senegal, l’azienda completerà nel 2018 i 110 km di autostrada a pedaggio tra Thiès e Touba, iniziati nel 2015.
La strategia cinese
Secondo l’esperto di relazioni tra Cina e Africa Thierry Pairault, intervistato da Jeune Afrique, Pechino guarda al continente africano pensando principalmente a progetti sul lungo termine. In quest’ottica la costruzione di ogni singola infrastruttura è progettata per avviare in modo conseguenziale la costruzione di altre opere e, parallelamente, permettere al made in China – a cominciare dai prodotti dell’industria manifatturiera – di invadere i mercati africani. È per tale motivo che in molti casi nelle trattative portate avanti con i governi locali, gli emissari delle aziende cinesi offrano gratuitamente degli studi di fattibilità delle opere che hanno in mente di realizzare.
Ad esempio, in Camerun per il progetto della strada tra Kribi e Mboro la CHEC ha informato anticipatamente il governo camerunese che intende prevedere una corsia aggiuntiva al fine di evitare la futura congestione del traffico nonostante ad oggi nell’area ci sia quasi esclusivamente foresta vergine.
Ovviamente nella corsa alle infrastrutture dell’Africa la strada per Pechino non è completamente in discesa. Spesso, infatti, il problema principale cui devono far fronte le aziende cinesi è di avere a che fare con governi che non rispettano gli accordi presi perché sono corrotti e molto fragili sul piano economico. In Algeria, ad esempio, la costruzione del porto di El Hamdania, che si sarebbe dovuta concludere entro il 2017, è ferma. Mentre i 52 km dell’autostrada tra Algeri e Bejaia sono stati consegnati solo tre anni dopo l’inizio dei lavori.
Per evitare spiacevoli sorprese, il governo cinese negli ultimi anni ha sensibilmente ridotto i prestiti concessi ai partner africani. Un passaggio doveroso considerato che tra il 2000 e il 2015 gli “aiuti economici” sono aumentati in media del 35% all’anno e che buona parte di essi sono finiti proprio in Africa.
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Rocco Bellantone
Caporedattore di Babilon, giornalista professionista, classe 1983. Collabora con le riviste Nigrizia e La Nuova Ecologia di Legambiente. Si occupa di Africa, immigrazione e ambiente.
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