Mossa principalmente da interessi energetici, nel decennio scorso la Cina ha investito pesantemente in Medio Oriente e Nord Africa. Le Vie della Seta hanno richiesto il miglioramento di porti e altre infrastrutture regionali, rendendo così i Paesi del Golfo, Egitto e Iran i principali destinatari di investimenti cinesi. Nonostante ciò i presupposti per un coinvolgimento sul piano politico-militare ancora non ci sono.
LO STATO DELL’ARTE
Sullo scacchiere mediorientale si è affacciato un nuovo giocatore: la Cina. L’espansione economica degli ultimi vent’anni ha aumentato esponenzialmente la dipendenza cinese dalle importazioni di petrolio e gas naturale, portandola rispettivamente al 69,8% e al 45,3% del suo fabbisogno. Così, da zona marginale del mondo, il Medio Oriente è diventato un’area centrale nelle strategie di Pechino a partire dal 2008. Il documento che ancora guida la politica cinese in Medio Oriente è il China’s Arab Policy Paper, risalente al 2016. Lì si delinea il principio del “1+2+3”, il quale enuncia i settori di cooperazione economica in ordine di priorità: energia (1), infrastrutture e commercio/investimenti (2) e infine nucleare, aerospaziale e rinnovabili (3). Ad oggi metà del greggio importato dal Dragone proviene da Medio Oriente e Nord Africa. Gli investimenti cinesi hanno raggiunto 242 miliardi di dollari tra 2005 e 2020 e l’interscambio commerciale con i Paesi arabi si è attestato a 317 miliardi di dollari nel 2019. Negli ultimi anni il progetto cinese delle Vie della Seta ha accelerato ulteriormente l’integrazione economica tra le due regioni. Il vecchio continente resta ampiamente il primo partner economico del Medio Oriente, ma la veloce espansione cinese intimorisce i Governi europei, in primis, e anche Washington. A chiudere il quadro, un rapporto di Arab Barometer indica che le popolazioni arabe favoriscono di gran lunga un maggiore coinvolgimento della Cina nei loro Paesi rispetto a Stati Uniti o Russia.
Fig. 1 – Il General Manager della BAIC International Development, Li Jingang, durante una cerimonia per la firma di un contratto con i rappresentanti della BAIC in Kuwait. Pechino, 20 luglio 2020
PAESE CHE VAI, INVESTIMENTI CHE TROVI
Le varie sub-regioni del Medio Oriente presentano livelli molto diversi di integrazione con la Cina. Il Maghreb, ad esempio, rimane ai margini dell’azione cinese, nonostante i Governi nordafricani spingano per una maggiore cooperazione nei settori delle infrastrutture e delle telecomunicazioni. La Libia è un caso emblematico dell’approccio cinese al Medio Oriente. Gli accordi con Gheddafi avevano portato 18,8 miliardi di investimenti cinesi nel Paese nordafricano, che a sua volta copriva il 3% del fabbisogno di idrocarburi di Pechino. La Cina tuttavia non ha mai avuto un ruolo attivo né sul terreno né a livello diplomatico. Ciononostante i contatti col Governo di Tripoli hanno comunque portato alla riattivazione delle esportazioni di petrolio e alla firma del memorandum delle Vie della Seta nel 2017. L’Egitto spicca sugli altri Paesi nordafricani, dopo che nel 2014 il Presidente al-Sisi ha firmato 25 accordi di cooperazione con Pechino, tra cui il Memorandum of Understanding per le Vie della Seta. I solidi rapporti tra i due Paesi stanno favorendo l’ingresso di compagnie cinesi, non senza difficoltà, nei più grandi progetti infrastrutturali egiziani: la nuova città amministrativa e la zona economica esclusiva del Canale di Suez.
Aldilà del Mar Rosso le Monarchie del Golfo Persico sono in prima fila nella cooperazione con la Cina. Le Vision che tutti questi Paesi hanno adottato per uscire dal giogo del petrolio richiedono ingenti investimenti stranieri e il Dragone è l’unico con capitali simili a disposizione. Tra tutti emergono gli Emirati Arabi Uniti, con 4mila imprese cinesi presenti sul territorio, un interscambio commerciale in continua crescita e accordi già siglati per lo sviluppo del 5G.
Infine l’Iran resta il capofila tra i partner regionali del Celeste Impero. Nei decenni scorsi le sanzioni internazionali hanno avvicinato sempre più Teheran a Pechino. Molti esperti vedevano nel Trattato sul nucleare un tentativo iraniano di alleggerire l’influenza cinese sul Paese, ma con l’accordo ormai naufragato, l’Iran è tornato tra le braccia della Cina. A prova delle profonde relazioni tra i due Paesi, Xi Jinping e Rohani hanno recentemente siglato una partnership di 25 anni volta a favorire investimenti miliardari nei settori energia, trasporti, turismo, telecomunicazioni e infrastrutture per il valore di miliardi di dollari.
Fig. 2 – Il Presidente cinese Xi Jinping insieme al Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi prima del meeting bilaterale sulle Vie della Seta. Pechino, 25 aprile 2019
LE VIE DELLA SETA MEDIORIENTALI
Gli analisti hanno rilevato che il Medio Oriente è l’unica regione del mondo dove gli investimenti nella Via della Seta non si sono arrestati negli ultimi due anni. La cosiddetta Belt and Road Initiative è per l’appunto un caposaldo dell’interesse di Pechino per il Medio Oriente, poiché da essa dipenderà non solo l’afflusso di merci cinesi verso l’Europa, ma anche il destino politico di Xi Jinping. Il corridoio terrestre principale dovrebbe attraversare Iran e Turchia per poi sfociare in Europa Orientale. Ma ancora più rilevante è il corridoio marittimo, che collegherà Oceano Indiano e Mediterraneo, passando attraverso il Mar Rosso. Il corridoio marittimo ha messo i Paesi del Golfo al centro e portato investimenti ingenti nelle infrastrutture marittime della regione. Tra le punte di diamante compare il porto di Gibuti, acquisito ed espanso dal colosso dei trasporti marittimi cinese COSCO. Lungo le coste della Penisola spiccano invece Jebel Ali e Khalifa negli Emirati, già hub marittimi della regione, Duqm (Oman), costruito con un investimento sino-omanita di 10,7 miliardi di dollari e il porto di Jizan (Arabia Saudita), la cui costruzione è stata affidata a una compagnia cinese. Infine la zona economica esclusiva del Canale di Suez sta attraendo compagnie cinesi da Porto Said a Ain Sokhna, sulle estremità opposte del Canale. Questo brulicare di grandi progetti portuali in una regione relativamente piccola e con pochi abitanti sta accendendo una competizione non marginale tra le Monarchie del Golfo. In parallelo i Governi del Golfo cercano di attrarre gli investimenti del Dragone nelle città futuristiche in via di costruzione. Ad esempio Neom, la megalopoli saudita da 500 miliardi di dollari, ora bloccata dalla Covid-19, dovrebbe attirare investimenti da Pechino, così come la futura Silk City in Kuwait, un richiamo più che mai esplicito al progetto cinese.
Fig. 3 – L’Amministratore delegato del progetto NEOM, Nadhmi al-Nasr, durante la conferenza “Future Investment Initiative” (FII), tenuta a Riyadh il 25 ottobre 2018
VERSO UN IMPEGNO POLITICO-MILITARE?
Le fiorenti relazioni economiche tra il Medio Oriente e Cina hanno dato adito alle previsioni su un futuro coinvolgimento politico e militare del Celeste Impero nella regione. Il molto discusso ritiro degli Stati Uniti dal Medio Oriente, non più considerato essenziale, sembra lasciare alla Cina il compito di poliziotto in una delle aree più instabili del pianeta. La costruzione della prima base militare all’estero in Gibuti e il dispiegamento di alcune navi militari tra Golfo di Aden e Mediterraneo sembrano avvalorare questa tesi. Tuttavia Pechino non vuole rimanere ingarbugliata nelle trame politiche e militari del Medio Oriente. Come sottolineano vari esperti cinesi, l’attenzione del Paese è concentrata sulle tensioni nell’indo-pacifico e la popolazione non capirebbe un coinvolgimento così profondo in teatri così lontani.
Pertanto, facendo leva sul principio di non coinvolgimento negli affari interni degli altri Paesi, la Cina è rimasta fuori da tutti i conflitti della regione. La gestione del dossier libico è un esempio significativo di difesa degli interessi economici senza coinvolgimento politico-militare. A ciò si aggiunge il fatto che delle tre ragioni dell’impegno americano in Medio Oriente – combattere il terrorismo, difendere Israele e proteggere gli interessi economico-petroliferi – solo l’ultima è valida anche per la Cina. Tuttavia la tutela di tali asset è resa più semplice dalla loro concentrazione in Stati politicamente stabili, come Paesi del Golfo, Egitto ed Iran, oltre che in aree geografiche ristrette, quali le zone economiche esclusive, i porti multimodali e le grandi città del Golfo. In conclusione, un’ondata di imperialismo cinese in Medio Oriente non sembra prospettarsi all’orizzonte.
Di Corrado Cok, Pubblicato su Il Caffè Geopolitico
Immagine di copertina: “Xi Jinping, painted portrait _DDC2231” by Abode of Chaos is licensed under CC BY
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