Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha aperto un’indagine sul possibile uso di droni in Libia da parte delle truppe del generale Khalifa Haftar (LNA) in un attacco del mese scorso contro le milizie a sostegno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al Serraj riconosciuto dalla comunità internazionale. Un report di natura confidenziale visionato dall’agenzia Reuters a inizio maggio fa riferimento ad un attacco sferrato il giorno 20 aprile vicino alla capitale Tripoli, attacco in cui sarebbe stato impiegato un missile Blue Arrow (BA-7), di norma è usato come armamento per i droni Wing Loong. Il panel di esperti sarebbe partito dall’esaminare una fotografia e avrebbe identificato alcuni detriti del missile Blue Arrow di fabbricazione cinese, riporta Agence France-Presse.
Secondo le Nazioni Unite, è quasi certo che il missile non sia arrivato in Libia direttamente dai fornitori, o eventualmente dalla Cina, ma attraverso una non meglio precisata “terza parte”. I funzionari Onu stanno tuttavia investigando sull’impiego dei droni cinesi e sul possibile ruolo degli Emirati Arabi nella missione condotta dal generale della Cirenaica nei sobborghi a Sud di Tripoli. Wing Loong è un drone sviluppato dal gruppo cinese Chengdu Aircraft Industry Group (CAIG). La flotta degli Emirati Arabi comprende appunto i velivoli a pilotaggio remoto Wing Loong e Wing Loong II prodotti da CAIG. In effetti, pare che un drone Wing Loong II sia stato avvistato in volo sulla capitale le notti in cui sono avvenuti i raid di aprile 2019. Il report Onu sottolinea che il missile BA-7 è a disposizione solo della Cina, Emirati Arabi e Kazakhstan, ma aggiunge che i alcuni Paesi dotati di droni Wing Loong potrebbero aver acquisito il missile: Egitto, Indonesia, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Serbia e Uzbekistan. Emirati ed Egitto appoggiano economicamente Khalifa Haftar e considerano le milizie del generale un argine contro l’espansione islamista in Nord Africa. Si ritiene che droni emiratini fabbricati in Cina siano stati già utilizzati in alcuni attacchi in Libia, probabilmente da una base in Egitto. Nella base aerea di al-Khadim, situata quasi 70 chilometri a Sud della città di Marj, sede del quartier generale dell’Esercito nazionale Libico di Haftar, gli emiratini avevano schierato droni Wing Loong II a partire dal novembre del 2016. Ad al Khadim gli Emirati avevano posizionato anche molti velivoli da guerra Air Tractor per garantire supporto aereo ad Haftar. Negli scorsi anni tali velivoli sono stati utilizzati in missioni di ricognizione e supporto all’Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar a Bengasi, in modo particolare nella lotta contro lo Stato Islamico e il Benghazi Revolutionaries Shura Council, che ha legami con al-Qaeda. Secondo un’analisi di Delalande, dal momento che al-Khadim è troppo lontana da Tripoli, i Wing Loong potrebbero essere partiti da una base alternativa, più vicina alla capitale libica.
Jack Watling, ricercatore presso il Royal United Services Institute, ha detto i droni cinesi sono stati impiegati massicciamente dagli Emirati Arabi in Yemen e in Libia negli ultimi 18 mesi. «In un primo momento – ha spiegato il ricercatore – avevano solo funzioni di sorveglianza, ma dopo sono stati impiegati in diverse operazioni, tra cui l’assassinio di Saleh al-Samad, uno degli ex leader civili del movimento Houthi in Yemen». Ad agosto del 2018 i ribelli Houthi hanno detto di aver abbattuto un CH-4B che apparteneva alla flotta saudita.
Jack Watling ha anche affermato che l’interesse per i droni UAV è crescente visto il rifiuto degli Usa di esportare i Predator e Reaper ai Paesi della regione. «In parte l’acquisto dei droni cinesi è mirato a fare in modo che gli Usa cambino la loro politica», ha commentanto Timothy Heath, analista del think tank Rand Corporation. Heath ha evidenziato il rischio rappresentato dalla mancanza di restrizioni della Cina in merito alla vendita di tali velivoli. La facilità di reperirli potrebbe favorirne l’uso contro dissidenti politici, minoranze o gruppi che si oppongono ai regimi in forma non violenta. «Le armi cinesi sono facili da acquisire per qualsiasi regime, non conta quanto il regime in questione sia brutale o crudele», ha avvertito Heath. Altro aspetto: i droni cinesi costano meno delle varianti Usa ma funzionano sufficientemente bene. Secondo il rapporto del RUSI del dicembre 2017, scrive Forbes, sette Paesi del Medio Oriente avrebbero acquistato tra i 128 e i 174 droni. Di questi solo 23 erano cinesi. Molti analisti sono tuttavia del parere che il ricorso ad armi fabbricate in Cina non farà che aumentare nel prossimo futuro.
Photo: Xinhua
Clarice Contini
Giornalista, laurea magistrale in Relazioni Internazionali, fiorentina, classe 1986.
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