In un discorso tenuto lo scorso 14 agosto a Manila, facendo riferimento alle isole contese nel Mar Meridionale Cinese il presidente filippino Rodrigo Duterte ha condannato il comportamento aggressivo del Governo di Pechino, riaprendo (apparentemente) le ostilità tra i due Paesi.

LE MINACCE CINESI

Pochi giorni prima della conferenza, a un aereo militare filippino che stava sorvolando il Mar Meridionale Cinese era stato intimato via radio dalle forze militari di Pechino di lasciare immediatamente la zona, considerata area marina della Repubblica popolare, pena la piena responsabilità per le dovute conseguenze.
Il giorno dopo il segretario agli Affari Esteri filippino Alan Peter Cayetano aveva prontamente sminuito in una intervista i toni critici utilizzati solo qualche ora prima da Duterte. Proprio in virtù dei forti legami tra i due Paesi, le parole del Presidente volevano essere un invito “amichevole” alla Cina di usare un temperamento e accenti più miti nella gestione della contesa sulle isole. Infatti, nel luglio del 2016, la Corte permanente di arbitrato (CPA) dell’Aia aveva dichiarato con una sentenza che gran parte dell’area marina all’interno della cosiddetta Linea dei Nove Tratti (Nine-Dash Line), di cui la Cina rivendica la sovranità, deve considerarsi invece in acque internazionali. Tuttavia il Governo cinese contesta la validità del verdetto e, nonostante abbia ribadito in più occasioni il suo impegno a cooperare pacificamente con le Filippine e gli altri Paesi asiatici coinvolti, rivendica tutta la zona demarcata all’interno della Linea dei Nove Tratti come appartenente alla propria giurisdizione.
A fine marzo Cayetano e il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si sono incontrati a Pechino per ribadire l’interesse dei rispettivi Paesi a collaborare e cooperare per rinsaldare un’amicizia di lungo termine. Il mese successivo Cayetano ha di nuovo incontrato il presidente Xi Jinping per cercare un accordo sulle modalità di esplorazione e sfruttamento congiunto dei fondali marini.

ACCORDI BILATERALI E INVESTIMENTI ECONOMICI

Il leader filippino Duterte è stato eletto Presidente nel maggio del 2016, poco prima della sentenza sulle isole della Corte dell’Aia. Oltre alla sua politica di “tolleranza zero” nei confronti delle organizzazioni criminali, è conosciuto per il suo atteggiamento politico filo-cinese, che ha coinciso con un graduale allontanamento politico dagli Stati Uniti. Lo scorso febbraio, durante un incontro col presidente cinese Xi Jiping, forse in tono scherzoso, Duterte aveva detto «Benvenuto nelle Filippine, provincia della Cina».
Non stupisce che uno striscione riportante la suddetta frase con la relativa traduzione cinese e apparso misteriosamente in una strada principale di Manila sia stato considerato una forma di protesta “ironica” di una parte della popolazione filippina, che aveva già criticato il Presidente sui social media per le sue eccessive simpatie verso Pechino.
Questa stretta alleanza, tuttavia, è ben giustificata da una serie di importanti accordi bilaterali sottoscritti dai Governi dei due Paesi a partire dal 2016, che prevedono, oltre alla costruzione di importanti infrastrutture (stradali ed energetiche), ingenti investimenti e finanziamenti cinesi nelle Filippine. Un altro accordo bilaterale riguarda poi la cooperazione e la collaborazione per la salvaguardia della sicurezza internazionale.
Inoltre, le Filippine hanno assunto il ruolo di coordinatore per la Cina nelle relazioni con l’ASEAN per il periodo 2018-2021.

OSTILITÀ TRA I DUE PAESI: REALTÀ O APPARENZA?

Tuttavia, la fiducia del Governo filippino nell’alleato cinese è sembrata incrinarsi quando il sottosegretario filippino all’Economia Pianificata, Ernesto Pernia, ha fatto notare come molti dei 27 accordi siglati nel 2016, per un valore complessivo di investimenti pari a 24 miliardi di dollari, siano stati disattesi: risultano completati, infatti, solo il progetto per un impianto di irrigazione del valore di 73 milioni di dollari e quello di due ponti a Manila per un valore di 75 milioni di dollari.
Inoltre, le continue intemperanze della politica cinese sul tema della sovranità sulle isole, che ha portato alla trasformazione di un atollo in una base militare, ha fortemente irritato il presidente Duterte.
Nonostante i buoni rapporti con la Cina, le Filippine hanno sempre ribadito che il Paese è pronto a entrare in guerra per tutelare i propri interessi nel Mar Meridionale Cinese. In questa ottica è la recente ristrutturazione di una pista di atterraggio del 1970 situata sull’isola di Thitu, in una zona rivendicata dal Governo cinese. Il 20 agosto scorso, poi, le Filippine hanno siglato un accordo militare con la Russia per l’acquisto di sottomarini, motovedette ed elicotteri militari, mentre 5mila kalashnikov, già arrivati, sono ufficialmente destinati alle forze militari nazionali per combattere le organizzazioni malavitose e gli estremisti islamici.

INTESA DURATURA O FLIRT TEMPORANEO?

La Cina ha lanciato nel 2013 la Nuova Via della Seta, uno dei più importanti e colossali progetti economici del nuovo millenio, che – attraverso un approccio win-win − mira a consolidare l’egemonia politica ed economica di Pechino nel Sud-est asiatico. Il Governo della Repubblica popolare, infatti, stimola e favorisce gli investimenti nazionali sul territorio filippino: alla base c’è la consapevolezza cinese del ruolo fondamentale che gli investimenti e i progetti infrastrutturali possono giocare per mitigare le storiche tensioni che hanno fino a oggi animato i rapporti tra Pechino e Manila.
Sempre per dimostrare tutta la propria collaborazione a risolvere i problemi legati alla disputa sulle isole, la Cina ha donato alle Filippine lo scorso 30 luglio quattro motovedette e 30 lanciagranate a propulsione. Inoltre, entro la fine dell’anno è prevista una visita nelle Filippine del presidente cinese Xi Jiping, volta a consolidare i rapporti politici e gli scambi commerciali.
Al momento gli esiti sembrano quelli voluti da Pechino, poiché il presidente Duterte ha ribadito più volte il suo interesse a tenere rapporti pacifici con la preziosa alleata Cina. In questa prospettiva, l’accordo sugli idrocarburi, non ancora siglato, ma in fase conclusiva, potrebbe confermare come la strategia cinese stia riuscendo a raggiungere uno dei suoi principali obiettivi.

 

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