La Nuova Via della Seta non è una questione di ordine economico, come si vuole far credere, bensì un tema che attiene all’imposizione di modelli di governance.
Da tempo, ciò di cui si discute in Cina è la diffusione del new order (globale) legato a doppio filo alla new era. Com’è stato recentemente scritto da Kevin Rudd: «la Cina ha deciso di plasmare un nuovo ordine mondiale che la vede protagonista».
A titolo esemplificativo, nel 2017 l’ex ministro cinese He Yafei affermò che la Cina «vuole guidare la nuova globalizzazione» chiarendo in seguito che La Belt and Road «si presenta come la risposta cinese al cambiamento degli scenari geopolitici, alla crisi economica globale, e punta a definire un nuovo ordine mondiale, o meglio: a dettare le regole del sistema attuale».
Nell’indifferenza generale, lo scorso giovedì 25 aprile, sul quotidiano economico Il Sole24Ore, l’intera pagina 19 ha ospitato nella veste di “informazione pubblicitaria” due lunghi scritti geometricamente posizionati sotto questo titolo: «Promuovere insieme la costruzione delle Nuove Vie della Seta (One Belt One Road) una svolta in direzione di uno sviluppo qualitativo di alto livello».
L’articolo principale è a cura di Guo Jiping che, come suggerisce un articolo del People’s Daily, è «un noto pseudonimo per editoriali inteso a delineare la posizione della Cina e il punto di vista su importanti questioni internazionali». In sostanza è il Governo di Pechino che parla. Il messaggio diffuso attraverso il noto quotidiano economico-finanziario è chiaro: «La costruzione della One Belt One Road accende i riflettori su un grande paese responsabile, impegnato a migliorare la governance globale».
Ci sono pochi spazi di interpretazione anche perché il seguito appare come un monito: «Di fronte ai problemi di chiusura, frammentazione, esclusione, rappresentatività, inclusione e imparzialità del vecchio sistema di governance globale, il progetto cinese rappresentato da Belt and Road è un impegno a difendere il sistema globale di libero scambio e di un’economia mondiale aperta che cerca di creare una governance più bilanciata e più sostenibile».
Sostanzialmente nella prima parte il Governo cinese afferma la volontà di «migliorare la governance globale» anche «più bilanciata» e, come viene sottolineato in seguito, ciò può avvenire solo a scapito degli Stati Uniti: il “vecchio sistema”. Ci troviamo di fronte alla diffusione di un manifesto di intenti politici che non ha suscitato né commenti né ilarità.
Certo, la Cina porta avanti, simultaneamente, la Belt and Road, la RCEP, ovvero la Regional Comprehensive Economic Partnership, con i dieci Stati dell’ASEAN e i sei con cui l’ASEAN ha ulteriori trattati di libero scambio, poi con l’Area di Libero Scambio Cina-ASEAN; ma – va ricordato – gli Usa hanno creato già la loro rete commerciale e economica anti-BRI con l’USMCA, lo US.-Mexico- Canada Trade Agreement e con il probabile ritorno di una proposta del vecchio TTP, Trans-Pacific Partnership o, ancora, il nuovo Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership. Per non parlare dei rapporti strategici che gli Usa hanno stretto con India, Corea del Sud e Giappone.
Gli stessi concetti veicolati attraverso il Sole24Ore si possono ritrovare anche sul magazine Il Filo di seta (Anno 1- Numero 1- Marzo 2019) che, in lingua italiana e con stampa in Italia, è edito in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia.
Ancora una volta, ciò che si legge a pagina 8 è adamantino: «Verso un ordine globale più armonioso ed equo». La conclusione del lungo articolo merita di essere menzionata: «Se la comunità internazionale, orfana del vecchio ordine a guida statunitense, chiede aiuto alla Cina per colmare vuoti, disfunzioni e mancanze strutturali, la Cina dal canto suo, cerca di prepararsi al meglio per farsi carico di nuove responsabilità che ne metteranno alla prova la maturità diplomatica e la capacità di farsi apprezzare dal resto del mondo con azioni concrete ed efficaci».
Ma cosa sappiamo della Cina?
La Cina vive una trasformazione indispensabile ma complessa, finalizzata a una crescita più sostenibile con un riequilibrio degli investimenti e della produzione manifatturiera a favore di consumi e servizi. L’integrazione globale ormai è fondamentale per tutte le economie e non vi è alcun interesse a sostenere una guerra commerciale con gli Stati Uniti o sviluppare ulteriori policy protezionistiche. In tempi nemmeno tanto lunghi, si può prevedere l’insostenibilità stessa della proprietà pubblica quale pilastro del sistema economico.
In quest’ottica si può affermare che Pechino – un’oligarchia “estrattiva”, secondo l’espressione coniata da Daron Acemoglu e James A. Robinson – voglia diffondere il capitalismo autoritario ben oltre le sue storiche perimetrazioni geopolitiche e per realizzare questo progetto necessiti di energia, informazioni e relazioni.
A livello interno sono necessarie riforme volte ad affrontare le cause all’origine dell’eccesso di capacità produttiva in più di un settore industriale e anche a ridefinire il ruolo stesso delle imprese di Stato. In Cina urge sollevare milioni di persone dalla povertà, ridurre le diseguaglianze in continua crescita nonché un livello di corruzione molto alto.
L’obiettivo di Xi Jinping è quello di ripristinare i valori dell’antica cultura confuciana cinese legata all’autorità gerarchica, che Mao cercò invano di cancellare, e di continuare a sostenere la riforma del mercato di Deng Xiaoping e il progetto egemonico della Nuova Via della Seta. La millenaria filosofia cinese dell’I Ching (Il libro dei Mutamenti), che parla di «continuità e cambiamento» – in termini fondamentalmente ostili alla cultura occidentale – e la nozione stessa di concentrated power del presidente Xi, sono i pilastri di questa Terza Rivoluzione che continuerà ad essere guidata dal Partito Comunista. Queste sono le idee che vengono esportate.
Se leggiamo con attenzione il Memorandum d’intesa tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica Popolare Cinese firmato il 23 marzo scorso dai rappresentanti dalle due parti a Roma (a Villa Madama, in presenza del Presidente Xi Jinping e del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte) possiamo scorgere i punti che riguardano i concetti di new order e new era.
In alcuni passaggi il Memorandum assomiglia ad un manifesto politico, basti citare un capoverso: «Le controparti riaffermano l’impegno condiviso per realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all’unilateralismo e al protezionismo».
Parole come unilateralismo e protezionismo, vale a dire la politica dei dazi, sono, ancora una volta, sinonimo di Stati Uniti.
Il Governo italiano, con la firma del discusso Memorandum, si è forse impegnato con Pechino a perseguire una politica in aperto contrasto con gli Stati Uniti? Di certo sappiamo cosa pensino a Washington della Cina, così come dei governi e degli “esperti” che strizzano l’occhio alla Nuova Via della Seta.
La fragile Europa e il bacino del Mediterraneo, da tempo, sono destinatari di strategie di influenza da parte di potenze totalitarie e rogue states, gruppi terroristici e criminalità organizzate, in un crescendo in cui controllori e controllati affinano ogni giorno le proprie strategie offensive e difensive, convenzionali, asimmetriche, ibride.
L’elemento che emerge con chiarezza è la volontà cinese di imporre un nuovo ordine mondiale. Ed è intorno a questa nuova prospettiva egemonica che bisogna inserire la guerra dei dazi, la diffusione della tecnologia 5G di Huawei (anche di Huawei Marine Networks che posa i cavi sottomarini?), delle telecamere con software di riconoscimento facciale Hikvision e del progetto panottico delle cosiddette smart city.
Le tensioni legate al 5G sono la punta dell’iceberg della nuova information warfare che si combatte per lo spionaggio dei dati sensibili sul terreno delle infrastrutture critiche, in un contesto in cui le tecnologie dual use (il gruppo italiano, anche a capitale cinese, Ferretti-Mochi Craft inizierà a produrre non solo stupendi yacht di lusso ma anche pattugliatori ad uso della marina militare di Pechino?) rappresentano gli strumenti della penetrazione cinese in Occidente.
Insomma, siamo stati chiaramente avvertiti che il new order e la new era sono (e saranno) i pilastri della politica cinese che sorreggono la Belt And Road Initiative e il progetto Made in China 2025.
Il romanticismo e l’ambiguità che accompagnano la Nuova Via della Seta non rispondono però ai reali bisogni strategici dell’Italia, che sono l’occupazione, la digitalizzazione dei processi e la protezione dei dati sensibili inerenti alla sicurezza nazionale.
Di Marco Rota e Antonio Selvatici
Foto di copertina: Center for Strategic and International Studies
Redazione
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