Il 25 febbraio il Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC), guidato dal presidente Xi Jinping, ha proposto di modificare la Costituzione per abolire il limite dei due mandati fissato per la presidenza. Una decisione che sarà approvata dal Congresso nazionale del popolo, il parlamento cinese, il prossimo 5 marzo e che permetterà a Xi di governare in Cina oltre il 2022.

Questa volta il “Grande balzo in avanti”, come era stata definita la campagna di Mao Zedong per la realizzazione del suo ideale di comunismo, potrebbe farlo Xi ma in direzione di un maggiore accentramento del potere.

Qualcuno aveva iniziato a nutrire sospetti già ad ottobre quando Xi non aveva indicato chiaramente alcun successore durante i lavori del 19esimo Congresso del PCC. Ma l’annuncio che la Cina avrebbe abolito il limite dei due mandati, dando di fatto a Xi la possibilità di restare leader a vita, ha ugualmente scosso un Paese che, nonostante tutto, considera il principio della leadership collettiva, stabilito da Deng Xiaoping negli anni Ottanta, ancora intoccabile.

 

Un uomo solo al comando

Come ogni leader dall’era di Deng in poi, Xi riveste tre cariche: capo del partito, presidente della Repubblica Popolare e capo della Commissione Militare Centrale, concentrando dunque nelle sue mani i tre capisaldi del potere in Cina.

I cinesi si aspettavano che Xi, al termine della sua parabola decennale ai vertici della politica, cedesse il testimone a un nuovo leader. Nel 2002 il passaggio di consegne tra Jiang Zemin e Hu era stato abbastanza turbolento. Quello tra Xi e il nuovo presidente doveva avvenire senza grossi intoppi. Invece, il sistema cinese si sta progressivamente trasformando nel più classico esempio dell’“uomo solo al comando”. Le derive di questo modello di leadership sono note in Cina. La storia ha già dato prova delle pericolose conseguenze della gestione del potere da parte di una sola figura.

Xi ha permeato la politica della sua influenza, estendo ovunque le sue braccia, e ora il Paese sembra pericolosamente vicino a diventare una dittatura dichiarata. La fine della leadership collettiva era in realtà stata confermata negli ultimi anni dall’inasprimento dei controlli sui media e su internet. In Cina ogni forma di dissenso è soffocata, mentre la macchina della propaganda si spende in continui elogi al grande presidente.

 

Cosa dice la riforma

La proposta di emendare la Costituzione, riferisce l’agenzia di Stato cinese Xinhua, mira al risveglio della nazione e al successo del «socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era», lo “Xi pensiero” inserito a ottobre nello statuto del PCC.

Tuttavia, con il trascorre degli anni la Costituzione cinese si sta spogliando sempre più di significato. Il documento che a parole promette libertà di espressione, di religione e tutela della privacy, viene di frequente modificato da una ristretta commissione di esperti. La Carta costituzionale cinese è stata adottata nel 1982 ed era stata modificata nel 1988, 1993, 1999 e 2004. Qualsiasi tentativo di rispettare la Costituzione e porre un argine allo strapotere del Partito comunista era fallito già nei primi anni della presidenza di Xi.

L’abolizione del limite dei due mandati non è l’unica riforma prevista al testo costituzionale. Il parlamento cinese sta per approvare la norma che istituisce la Commissione Nazionale di Supervisione, un nuovo organismo di controllo pensato per migliorare la lotta alla corruzione e che avrà diverse diramazioni a livello locale. Secondo la vecchia disciplina, chi aveva allo stesso tempo un ruolo all’interno del partito e nelle istituzioni pubbliche veniva giudicato due volte da due organi diversi. Questo modo di procedere non garantiva abbastanza trasparenza, per cui da adesso in poi i casi di questo tipo passeranno unicamente per la Commissione Nazionale di Supervisione.

 

L’obiettivo di Xi Jinping

L’emendamento, però, rischia di corrodere il confine tra il potere dello Stato e quello del Partito. Deng aveva cercato di proteggere la distinzione tra il governo e il PCC, provando a proteggere la Cina dall’autoritarismo. Xi sta facendo esattamente l’opposto.

Quest’ultimo avvenimento, secondo Foreign Policy, è ben più grave della supremazia del partito sulla legge, che fino a questo momento sembrava la principale criticità cinese. La riforma è la prova tangibile dell’instabilità del sistema politico in Cina. Xi è interessato a mettere a tacere le voci dei dissidenti dentro e fuori dal Partito. La battaglia contro la corruzione e le purghe destinate ai rivali potrebbero essere la prova dell’insicurezza e della precarietà del suo potere. Lo scopo ultimo della riforma sarebbe, secondo The Guardian, l’autoconservazione di Xi. L’attuale presidente ha umiliato e condannato alla galera molti oppositori. Il prolungamento del mandato lo salverebbe da una loro possibile “vendetta”. Con questa manovra il presidente più importante della Cina dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping punta dunque a un obiettivo ben preciso: una polizza che gli garantisca una permanenza “eterna” alla guida del Paese.