Non solo soldi. C’è un altro grande punto in comune tra Chávez e Grillo. La fascinazione ideologica per Jean-Jacques Rousseau
Cosa c’è in comune tra un comico qualunquista italiano e un colonnello golpista venezuelano quando decidono di farsi capipopolo? Un copiatore di spartiti svizzero con l’hobby della filosofia! E sì! Secondo il documento pubblicato da Abc, già nel luglio del 2019 il regime di Chávez avrebbe fatto pervenire una valigetta con 3 milioni e mezzo di dollari in contanti a Gianroberto Casaleggio, attraverso il Consolato di Milano. Scopo: aiutare la crescita del Movimento Cinque stelle, appena fondato nell’ottobre del 2009. E qui ci sono di mezzo varie considerazioni.
Vero ad esempio che il sistema della valigetta piena di soldi appartiene al repertorio del chavismo. Attraverso una valigetta l’imprenditore venezuelano-statunitense Guido Antonini Wilson il 4 agosto del 2007 aveva cercato di portare 790.550 dollari di Chávez per la campagna elettorale di Cristina Kirchner, quando fu fermato alla dogana dell’Aeroparque Jorge Newbery di Buenos Aires poco dopo essere arrivato su un volo privato proveniente dall’Aeropuerto Internacional de Maiquetía Simón Bolívar. Vero anche che nel documento della Dirección General de Inteligencia Militar (Dgcim) pubblicato da Abc ci sono simboli risalenti a prima del 2010. Da una parte, un cavallo che cavalcando verso destra guarda ancora a sinistra, prima che Chávez imponesse di girargli la direzione per soddisfare un capriccio della figlia. Dall’altra una dizione del ministero della Difesa senza l’aggiunta “del Potere Popolare”. Gianroberto Casaleggio, secondo fonti diplomatiche, avrebbe viaggiato di frequente a Caracas tra 2001 e 2010. È risaltato fuori anche un video della Casaleggio associati utilizzato nel 2009 da una Universidad nacional experimental de la seguridad che offre formazione a polizia e forze di sicurezza del Venezuela. Vero pure che la definizione di “promotore di un movimento di sinistra rivoluzionario e anticapitalista della Repubblica di Italia” contenuta nel documento suona un po’incongrua per un guru la cui ideologia appare più vicina ai fumetti di Martin Mystère che al Capitale, e anche per un movimento che in larga parte è nato come un semplice Uomo Qualunque 2.0. Vero è che Marcos García Rey, l’autore dello scoop, dice di avere chiesto a Grillo, a Crimi e a Di Maio lumi sul documento che gli era arrivato. Assicura di aver mandato almeno due email a testa attraverso un software da cui sa che le hanno lette e quando.
Ma al di là della verità sui soldi chavisti, tre mesi prima della fatidica valigetta i Cinque stelle hanno esordito alle elezioni regionali lombarde con una lista in cui 73 voti li ha presi tale Luis Alberto Orellana. Nato a Caracas nel 1961 da padre venezuelano e madre italiana, dipendente della Italtel, residente a Pavia, nel 2013 sarà non solo eletto al Senato, ma sarà addirittura presentato dai Cinque stelle come presidente dell’assemblea, ottenendo 52 voti. A quel punto si candida a capogruppo, ma viene sconfitto da Nicola Morra: 24 voti contro 22 e due schede bianca. Questa spaccatura viene letta come un pesante intervento di Grillo contro un personaggio emergente che forse è considerato troppo dialogante. Orellana diventa lo stesso vicepresidente, il 16 aprile, assieme Elisa Bulgarelli. Ma ci rimarrà solo fino al 31 luglio, per essere infine espulso il 26 febbraio 2016. La sua traiettoria è interessante proprio perché quando in Venezuela Maduro fa il suo golpe per togliere i poteri a una Assemblea costituente dove l’opposizione ha conquistato 112 seggi su 167, Orellana si vedrà assiduo a tutte le iniziative di parlamentari italiani che appoggiano la lotta contro Maduro.
Da una parte, dunque, la presenza di un italo-venezuelano antichavista ai suoi massimi vertici parrebbe dimostrare che il Movimento cinque stelle delle origini non era affatto coperto e allineato con il regime di Caracas. Dall’altra, però, la sua emarginazione sembra coincidere con lo scivolamento madurista. Data fatidica il 13 marzo del 2015, quando alla Camera i Cinque stelle sponsorizzano il convegno “L’#ALBA di una nuova Europa”. Fondata nel 2004 da Castro e Chávez, l’Alleanza Bolivariana per le Americhe è diventata il blocco dei governi ispirati al modello chavista. In realtà, in quel momento dopo la morte di Chávez e con quella crisi venezuelana che a fine anno porterà al trionfo dell’opposizione alle politiche appare ormai chiaramente in panne. Ma per i Cinque stelle è addirittura un modello per riformare l’Unione europea, attraverso “un’alleanza fra i paesi mediterranei in grado di rompere le logiche del mercantilismo tedesco” Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e anche Francia – insieme – rappresentano la terza economia a livello mondiale. Possiamo fare ‘cartello’e acquisire un maggiore potere contrattuale a Berlino”.
“Qualcuno lo ha già fatto prima di noi”, spiegano i Cinque selle. “Sono i paesi dell’Alba bolivariana”. “I principi politici e di cooperazione sociale ai quali aderiscono Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e Cuba possono essere la nostra fonte di ispirazione”. Numero uno tra i relatori è Gianni Minà: il famoso “intervistatore in ginocchio” di Fidel Castro, nome simbolo per i nostalgici del comunismo. Ci sono poi “Luciano Vasapollo –docente di Economia (La
Sapienza)”: un personaggio che parla con un linguaggio da Terza Internazionale e che imposta i suoi corsi come monografie sull’economia cubana, ma che alla Sapienza ha i rapporti con l’America Latina. “Alessandro Di Battista – vicepresidente Commissione affari Esteri M5s”: anche lui arrivato alla politica dopo viaggi in America Latina. “Joaquín Arriola – docente di Economia (Universidad El País Vasco)”. “Illustreranno il modello ALBA: Bernardo Álvarez –Segretario Generale ALBA, Carlos Romero Bonifaz – Senatore della Bolivia, Veronica Rojas Berrios – Viceministro Affari Esteri del Nicaragua, Alba Beatriz Soto Pimentel – Ambasciatrice di Cuba in Italia, Juan F. Holguìn – Ambasciatore dell’Ecuador in Italia. Modera Manlio Di Stefano –vapogruppo Commissione affari Esteri M5s”.
Che è successo, a ben cinque anni dal supposto pagamento al Consolato di Milano? In effetti, a parte l’approfondimento della crisi nel 2014 c’è stato l’ingresso al Parlamento europeo, che segna un crescente interesse del MoVimento per il quadro internazionale. Piuttosto che con la sinistra radicale i
grillini hanno però lì fatto blocco con la Ukip di Farage: non senza un tentativo di essere ammessi nell’Alde che dopo essere stato contrattato dal vertice sarà
bocciato dalla base dei partiti liberali. Peggio: un anno e mezzo dopo il convegno sull’Alba, Di Maio per offendere Renzi non troverà di meglio che paragonarlo a “Pinochet dittatore del Venezuela”.
Insomma, la confusione è grande. E però, torniamo all’inizio. Al di là delle contingenze, e delle oscillazioni, c’è un grande punto in comune tra Chávez e Grillo. Ed è Jean-Jacques Rousseau. O meglio: per Chávez è Bolívar. Definisce la sua ideologia bolivarismo, fa ribattezzare il Venezuela Repubblica Bolivariana, fa perfino esumare la sua salma. Ma Bolívar ha un forte collegamento col modello della Rivoluzione Francese: sia nel suo versante giacobino che in quello bonapartista. Entrambi guardano a Jean-Jacques Rousseau, che ad esempio scriveva nel Contratto Sociale: “Il popolo raunato! si dirà; quale chimera! E’ una chimera oggi, ma non la era due mill’anni fa. Gli uomini cambiarono forse natura? I confini del possibile nelle cose morali sono meno angusti di quello che noi pensiamo, ma sono ristretti dalle nostre debolezze, da’ nostri vizi, da’ nostri pregiudizi”.
E Rousseau non è anche il nome della piattaforma su cui votano i Cinque stelle? Infatti, secondo i grillini, internet avrebbe ormai reso la “chimera” possibile. Quell’ideale dei cittadini in assemblea permanente che era stato alla base della democrazia antica, e che l’aumento delle dimensioni e popolazione degli Stati aveva obbligato a sostituire con la rappresentanza. “Rousseau è la piattaforma del MoVimento 5 Stelle dove puoi esprimere le tue idee e sostenere le sfi-
de in cui credi, proponendo disegni di legge, votando le leggi proposte dagli altri utenti che ritieni più utili o urgenti, e portando tematiche di interesse collet-
tivo all’attenzione dei nostri Portavoce”, spiega il sito. Ma Rousseau diceva anche che la sovranità “consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta: o è la stessa, o è un’altra, non vi ha punto di mezzo. I deputati del popolo non sono dunque, né possono essere suoi rappresentanti, sono soltanto suoi commissari”. La concezione dei Cinque stelle per cui il deputato è mero portavoce. Rousseau considerava i parlamenti una aberrazione feudale, Casaleggio junior prevede che finiranno per sparire, Grillo propone di sostituire il voto col sorteggio, Maduro quando ha perso le politiche ha semplicemente tolto il potere all’Assemblea Nazionale.
Morto Marx, è forse fatale che il radicalismo torni a chi c’era stato prima di lui. Nel mondo islamico al Corano; in occidente a Rousseau. Attraverso l’ammirazione per un tipico roussueauiano-bonapartista come Simón Bolívar e per la sua Costituzione di Angostura, capotipite di questo revival era stato appunto Chávez con quella Costituzione dai cinque poteri: i tre liberali classici, più quei due ulteriori che attraverso Rousseau vengono direttamente dall’Antichità. Il Potere Elettorale richiama alla democrazia diretta anche attraverso la revocabilità permanente degli eletti: un principio caro ai grillini e ai
“contratti” che la Casaleggio fa firmare, e corrispondente a un’altra massima di Rousseau. “I depositari del potere esecutivo non sono i padroni del popolo, bensì i suoi funzionari; esso può nominarli o destituirli quando gli piaccia”. Il primo è invece erede dell’Eforato spartano, della Censura romana e dei Dieci della Repubblica di Venezia, e corrisponde a un tipo di magistratura che può sanzionare gli eletti per comportamenti “immorali” anche non costituenti reato. “Chiunque arrossisce è già colpevole: la vera innocenza non ha vergogna di niente”, diceva Rousseau.
Insomma, una confluenza tra assemblearismo sessantottino e giustizialismo girotondino che potrebbe sembrare occasionale e perfino contro natura: ma che Rousseau ci permette invece di ricollegare a qualcosa di molto più coerente, e più antico. Ma Rousseau offre a quel populismo contemporaneo di cui il grillismo è la principale versione italiana anche un’infinità di altri spunti. Il benecomunismo, ad esempio. “Se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!”. Il neoluddismo. “Tutte le cose sono create buone da Dio, tutte degenerano tra le mani dell’uomo”. La decrescita felice. “La miseria non consiste nella privazione delle cose, ma nell’avvertirne il bisogno”. E, su tutto, il bisogno del caudillo. “Tutti hanno ugualmente bisogno di
una guida: bisogna costringere gli uni ad adeguare la loro volontà alla ragione; bisogna insegnare al popolo a conoscere ciò che vuole”.
Insomma, l’attrazione è fatale, prima ancora che nel vuoto ideologico dei Cinque stelle si inserisca una piccola ma agguerrita lobby di ammiratori del chavismo. Di Battista in particolare, figlio di un “fascistone”, girando per l’America Latina si è contaminato di un terzamondismo che lungi dallo scontrarsi con l’eredità paterna vi ha probabilmente reagito nella direzione di un autoritarismo fascio-comunista-peronista. Non a caso è lui è anche l’uomo della svolta filo-Putin. Con Di Stefano, altro organizzatore del convegno sull’Alba, è centrale Gianluca Ferrara. Capogruppo alla Commissione Esteri, attivissimo in sostegno al regime di Maduro, è passato per il Manifesto e per l’agenzia cattolica di sinistra Adista, ed è autore di libri cui hanno partecipato don Andrea Gallo, Alex Zanotelli e Vandana Shiva. Dopo il convegno, l’esposizione diventa fortissima quando il golpe di Maduro contro l’Assemblea Nazionale porta a grandi proteste represse nel sangue. Nel gennaio del 2017 quando Pier Ferdinando Casini, come presidente della Commissione Esteri, presenta al Senato una mozione di condanna del regime, sono i Cinque stelle a presentare una contro-mozione che definisce golpista l’opposizione e elenca i “successi”del regime chavista.
Dal 2018 il presidente della Commissione Esteri del Senato al posto di Casini, Vito Petrocelli, lo accusa di voler “esportare il modello di democrazia ad opera di grandi potenze”. “Evidentemente ancora oggi Casini può imporre le sue prassi che sono da dinosauro della politica. Io non so quanto ancora potranno durare queste prassi, del resto anche i dinosauri si sono estinti”. La mozione dei Cinque stelle è bocciata, ma il 5 marzo successivo proprio Di Stefano e Petrocelli si recano a Caracas, assieme alla capogruppo alla commissione Affari esteri del Senato Ornella Bertorotta. In attesa di partecipare alla commemorazione di Chávez si incontrano all’ambasciata con un gruppo di italo-venezuelani che vogliono denunciare la degenerazione della situazione, e a cui provano invece a loro volta a raccontare le favolette sul “Paese modello”. Lo scontro è durissimo, e da allora per gli italo-venezuelani i grillini iniziano a essere percepiti come un nemico.
Quel 2017 è anche l’anno in cui Di Maio propone l’Alba come mediatrice per il conflitto in Libia. Nel 2018 i Cinque stelle vanno al governo. E nel 2019 al momento dello scontro tra Guaidó e Maduro sono loro a impedire che l’Italia come il resto d’Europa riconosca il primo come legittimo presidente, anche se come compromesso con la linea antiMaduro della Lega acconsentono a che l’Italia consideri comunque l’Assemblea Nazionale come unica autorità legittima. In realtà poi Moavero impone una linea più vicina a Guaidó. Ma i Cinque stelle protestano. Quando viene in Italia la delegazione di Guaidó sono l’unico partito che rifiuta di parlarci. Ferrara incontra invece l’ambasciatore di Maduro, e diffonde un comunicato che è una velina pro-regime. Anche quando i deputati dell’Assemblea Nazionale Américo De Grazia e Mariela Magallanes si rifugiano nell’ambasciata italiana a Caracas, nel maggio del 2019 Ferrara chiede di permetterne l’arresto. De Grazia stava presiedendo una commissione che tra l’altro stava indagando appunto sulla possibilità che i Cinque stelle avessero ricevuto finanziamenti del regime. A partire dalla valigetta del Consolato di Milano?
Pubblicato su Il Foglio il 20 giugno
Maurizio Stefanini, uno dei più enciclopedici giornalisti che abbiano mai trattato la materia, è autore di Adiós Venezuela. La fine del chavismo da Maduro a Guaidò, edito da Paesi Edizioni. Il libro racconta del Venezuela prima, durante e dopo la comparsa di Hugo Chávez, dai sogni di una rivoluzione bolivariana con e per il popolo ai disastri sociali ed economici, fino alla disperata comparsa di Juan Guaidó. La storia, le vicende private e pubbliche dei leader e degli oppositori, il mosaico di partiti politici, le elezioni truccate, il dilemma del petrolio, e le ardite relazioni internazionali di uno dei Paesi maggiormente devastati dell’America Latina.
Maurizio Stefanini
Romano, classe 1961, maturità classica, laurea in Scienze Politiche alla Luiss, giornalista dal 1988. Specialista in America Latina, Terzo Mondo, movimenti politici comparati, approfondimenti storici.
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