È difficile non vedere l’effetto del movimento “Friday for Future” ispirato dall’attivista teenager Greta Thunberg nel risultato elettorale del 26 maggio in Europa. In Francia, in Germania e in Irlanda i partiti ambientalisti hanno raggiunto risultati migliori del 2014. I Verdi hanno guadagnato quasi 70 seggi nel nuovo Parlamento Ue, 20 in più rispetto a 5 anni fa. I Paesi dove sono andati meglio sono stati Francia, Germania, Belgio e Irlanda. In Germania i Verdi sono al 20% dopo la CDU di Angela Merkel, che si attesta al 28%. Il partito dei Verdi sarebbe stato votato in massa dai giovani tedeschi. Secondo i dati, il 34% degli elettori di età compresa tra i 18 e i 29 anni avrebbe preferito loro agli altri partiti. In Francia il partito “Europe Ecologie-Les Verts” ha fatto molto meglio delle aspettative. Il partito francese guidato da Yannick Jadot è stato la rivelazione delle elezioni ed è vicino a guadagnare 13% delle preferenze, sorpassando l’8,3% della destra dei Republicains.
Visti dall’esterno, alla vigilia del voto delle elezioni europee del 26 maggio gli europei erano apparsi sensibili alla questione climatica. Un sondaggio citato dal Washington Post aveva indicato il cambiamento climatico come questione che avrebbe condizionato il voto dei cittadini tedeschi. Il sondaggio rilevava che la lotta al surriscaldamento globale era per i tedeschi ancora più impellente della questione migratoria. Alcuni giorni prima del voto, alcune stime davano i Verdi al 19% tra i tedeschi.
«Nel resto d’Europa il cambiamento climatico ha acquisito sempre più peso rispetto ad altri temi, come l’economia e l’immigrazione. In molti Paesi il clima è il tema principale e insieme la preoccupazione maggiore dei cittadini quando si fa riferimento alle questioni europee», ha detto Derek Beach, scienziato politico dell’Università di Aarhus, in Danimarca. «In Danimarca, per esempio – ha proseguito Beach – il clima è stato quasi l’unico argomento di discussione in relazione alla elezioni europee».
Se l’onda verde invade la Germania, lo stesso non vale per l’Italia. Nella penisola, sempre secondo il Washington Post, il cambiamento climatico è quasi un argomento di lusso, riservato solo a coloro che non hanno bisogno di preoccuparsi per i figli senza lavoro.
Le iniziative del Parlamento Ue e della Commissione europea in futuro ruoteranno attorno al progetto dell’Unione Energetica europea lanciato da Jean Claude Juncker, spiega Francesco Sassi dell’ISPI. Il progetto mira a costruire un sistema energetico competitivo, conveniente e sostenibile che si inquadra nella lotta globale al cambiamento climatico e che prevede una stretta interrelazione tra gli Stati membri. La politica comunitaria in campo energetico punta a sostenere i singoli Stati nel perfezionamento delle politiche comunitarie in risposta al surriscaldamento globale e in osservanza all’Accordo di Parigi sul clima del 2015, di cui l’Europa si è fatta promotrice. Il “Clean energy for all Europeans package” entrerà in vigore nell’estate del 2019 e lascia di tempo due anni agli Stati per trasferire le direttive Ue nelle singole legislazioni nazionali. Gli organi di controllo del nuovo Parlamento e della Commissione saranno chiamati a vigilare sul rispetto dei vincoli, che prevedono il raggiungimento del 32% di fonti rinnovabili entro il 2030 e il bilanciamento tra emissioni e assorbimento di anidride carbonica o “carbon neutrality”. Secondo gli ultimi dati Eurostat ben 11 Stati UE hanno raggiunto con largo anticipo gli obiettivi sulle energie rinnovabili fissati per il 2020. Nonostante la buona performance sulle rinnovabili, il carbone è ancora molto rilevante nella generazione elettrica europea, almeno per il 25%. Ancora secondo Sassi, la lotta alla povertà energetica, con le relative conseguenze per i cittadini europei, è una delle sfide chiave dell’Unione in campo energetico.
Foto di copertina: Lisa Neubauer via Twitter
Redazione
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