L’anno che stiamo per lasciarci alle spalle è stato pieno di stravolgimenti politici, inimmaginabili solo pochi anni fa. Sulla scia del voto sulla Brexit molti equilibri sono saltati in aria, mandando in soffitta un paradigma che era stato alla base delle politiche delle ultime due decadi.

Il cambio di atteggiamento è diffuso a livello globale e vira verso un sentimento molto più conservatore e nazionalista rispetto al recente passato. Bastano due esempi a quantificare la portata del cambiamento: Trump ha esplicitamente assunto il compito di demolire quanto fatto da Obama, mentre l’elezione di Bolsonaro a presidente del Brasile ha definitivamente messo la parola fine all’era di Lula.

Persino Angela Merkel, figura simbolo dell’Europa di inizio millennio, ha rinunciato alla presidenza del suo partito dopo le rovinose elezioni in Assia e Baviera. La situazione italiana è, a sua volta, specchio di un sentire diffuso a livello internazionale e, stando alle ultime previsioni, la stessa UE potrà cambiare volto dopo le elezioni primaverili.

C’è però una problematica che si staglia sullo sfondo di tali mutamenti politici. A seguito delle decisioni sui dazi prese dalla casa bianca lo scorso Gennaio, gli scambi commerciali tra le varie potenze mondiali potrebbero uscire dai binari tradizionali, assumendo direzioni diverse ed intensità variabili. Se i recenti cambi di governo sono espressione del voto dei singoli popoli, la guerra commerciale si riverserà sul mercato globale a prescindere da quale che sia la volontà delle nazioni coinvolte. Nuove alleanze potrebbero scaturire a fronte di rapporti commerciali più vantaggiosi, facendo vacillare l’asse politico tra Oriente e Occidente.

È proprio da questa contesa Est-Ovest che nasce la guerra dei dazi tanto voluta da Washington. Rispetto al passato non è il Cremlino a preoccupare i mercati USA, quanto piuttosto l’espandersi del commercio cinese, ormai sempre più presente dopo l’accesso al mercato globale nel 2001. Seguendo la narrativa del presidente americano, gli USA hanno accumulato un deficit di scambio commerciale con la Cina che non è più tollerabile, favorito dai prezzi ribassati dei beni provenienti da oriente. Da qui la decisione di voler tassare prodotti esportati, in prevalenza, da partner cinesi. In molti hanno però evidenziato quanto queste decisioni influiscono sugli scambi con tutti gli altri partner internazionali, andando ad inficiare gli asset politici con alleati storici quali l’UE.

I celebri dazi su acciaio ed alluminio, propagandati come deterrente per gli import da Pechino, colpirebbero ben altri obiettivi, dato che la Cina non figura tra i primi dieci paesi ad approvvigionare gli Stati Uniti con tali materie prime (come di recente riportato dalla tedesca Trademachines).

Con questa manovra Trump si è inimicato governi storicamente alleati con Washington, anche se il tycoon non sembra curarsene molto (avendo addirittura definito l’EU “cattiva quanto la Cina” dal punto di vista degli scambi commerciali).

Dato il suo carattere di rottura con il passato, la guerra commerciale potrebbero essere il preludio di un assetto geopolitico che dovrà fare i conti con i nuovi orientamenti assunti dalle singole nazioni. Stando a quanto affermato da Jack Ma, numero uno del colosso Alibaba, la guerra dei dazi si protrarrà per almeno 20 anni. Interessante sarebbe sapere quale sarà l’effetto di questa guerra, se creerà alleanze inedite o una miriade di stati dalle politiche protezionistiche.

 

Diego Parravano

http://trademachines.it/info/guerra-commerciale/