Nelle prime ore di lunedì 1 febbraio l’esercito del Myanmar ha compiuto un colpo di stato per rovesciare il governo che si era insediato solo cinque giorni prima. La leader civile, Aung San Suu Kyi, capo del partito che ha la maggioranza in Parlamento, la Lega nazionale per la democrazia, e di fatto capo del governo, è stata arrestata insieme ad altri esponenti politici. Poco dopo gli arresti, un’emittente televisiva vicina ai militari ha dichiarato lo stato di emergenza di un anno e che tutti i poteri erano stati trasferiti al capo dell’esercito, il Gen. Min Aung Hlaing. Il capo delle forze armate birmane guiderà il paese per un anno, mentre la carica di presidente ad interim sarà ricoperta dal generale in congedo Myint Swe, che era uno dei vice presidenti del Myanmar. L’aeroporto di Yangon, principale scalo del paese asiatico, è stato chiuso e le linee telefoniche nella capitale Naypyitaw e nella città di Yangon sono state interrotte.
I militari hanno spiegato di aver preso il potere a causa dei ”brogli elettorali” riscontrati nelle elezioni dello scorso 8 novembre, vinte in modo schiacciante dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD). Il partito di Aung San Suu Kyi, aveva ottenuto 368 seggi su 434, mentre il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), appoggiato dall’esercito, aveva conquistato 24 seggi.
Il Myanmar sembrava aver imboccato la strada giusta per la democrazia, quando i militari avevano concesso parte del loro potere ai civili, per onorare le elezioni che nel 2015 avevano premiato la Lega nazionale per la democrazia. Ma in questi anni l’esercito ha conservato una grande porzione di potere e il golpe del 1 febbraio 2021 sembra dimostrare il falso impegno dell’esercito per l’instaurazione della democrazia.
Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace nel 1991 per la sua resistenza non violenta alla giunta al potere che l’aveva costretta a 15 anni di arresti domiciliari, è stata molto criticata per non aver agito contro il genocidio della minoranza musulmana dei rohingya, perpetrato dai militari nel 2017. Quasi 750mila rohingya sono stati costretti a fuggire in Bangladesh, dando luogo a una delle tragedie umanitarie più gravi degli ultimi anni. Le Nazioni Unite hanno affermato che gli incendi di interi vilaggi, gli stupri e le esecuzioni di massa, sono stati portati avanti con un l’intento di compiere un vero e proprio genocidio.
FOTO: AP
Redazione
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