L’assalto al Congresso, portato avanti da sostenitori di Trump pronti quantomeno a catturare i parlamentari, ha messo in luce l’impreparazione dell’apparato di sicurezza dell’edificio e della capitale in generale.
LA CAPITOL POLICE
Nell’immediatezza dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti, diversi commentatori italiani e internazionali hanno dichiarato che la Capitol Police, la forza di polizia incaricata di garantire la sicurezza dell’edificio e dei parlamentari, era stata complice degli assalitori. In effetti, alcuni video mostrano chiaramente degli agenti aprire le transenne, altri incitare la folla a proseguire, altri ancora farsi un autoscatto con gli assalitori all’interno dell’edificio. In generale, non è vero. In alcuni punti gli agenti erano pochi e hanno scelto di non rischiare la pelle. In altri sembra davvero che gli agenti abbiano aperto i varchi con complicità. Nella maggior parte dei casi, però, gli agenti hanno resistito fino all’ultimo con lacrimogeni e manganelli, venendo poi sopraffatti e alcuni anche malmenati duramente.
LA SOTTOVALUTAZIONE DEL RISCHIO E IL CASO DELLA GUARDIA NAZIONALE
L’assalto al Congresso è stato il risultato di numerose sottovalutazioni dei rischi portati dall’adunata dei sostenitori di Trump a Washington DC. La minaccia era chiara, bastava seguire i social media. Erano stati offerti rinforzi che sono stati rifiutati. Uno dei motivi è stato l’implicito timore di mettersi contro quello che a tutti gli effetti è il Comandante in Capo, ossia il Presidente, che sarebbe intervenuto con un comizio all’adunata dei suoi sostenitori. Un altro è stato il non ripetere l’esperienza dell’estate scorsa, quando la città fu militarizzata su ordine del Presidente nell’ambito delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter, nonostante l’opposizione della Sindaca della Capitale. La città ha un suo corpo della Guardia Nazionale, riservisti dell’Esercito e dell’Aeronautica attivabili in caso di necessità. Il 6 gennaio era schierata solo con compiti di gestione del traffico.
Una volta chiesto l’intervento, il Pentagono ha tardato ad autorizzarne l’uso delle truppe in funzione anti-sommossa. Il processo decisionale non è ancora chiaro, ma è necessario tenere presente che il Dipartimento della Difesa ha subito un “repulisti” da parte di Trump nelle ultime settimane. Il Governatore del Maryland (repubblicano) ha atteso ore prima di avere l’autorizzazione a far passare il confine con Washington DC alla sua Guardia Nazionale. Il ruolo del Vicepresidente Pence sembra sia stato decisivo per sbloccare la situazione.
CHI ERANO GLI ASSALITORI?
Le immagini dei personaggi folkloristici con elmi dotati di corna e simili hanno dato la percezione falsa che ad assaltare il Congresso siano state persone arrabbiate, ma tutto sommato ingenue e innocue. La realtà è ben diversa. Prima di tutto, c’è il coinvolgimento di gruppi che si possono definire terroristi interni, come Qanon o i Proud Boys. Poi, nella massa di persone forse inconsapevoli della gravità del loro atto, ce ne erano molte che avevano scopi e piani precisi. Le fotografie di uomini in assetto militare, a volto coperto e dotati delle fascine che si usano per ammanettare i prigionieri o i criminali ne sono testimonianza. Questi gruppi, tra cui alcuni sembrano avere esperienza militare da come si muovevano tra la folla, avevano l’obiettivo di catturare ogni parlamentare che gli fosse capitato a tiro (se non peggio) e il bersaglio principale era il Vicepresidente Pence, “colpevole” di non aver sostenuto l’ultimo tentativo di sovversione del voto popolare voluto da Trump proprio il 6 gennaio, durante la certificazione dell’elezione di Joe Biden e Kamala Harris a prossimi Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti.
Come ultimo punto, non si può ridurre la questione al “popolo arrabbiato” contro l’elite. I sostenitori di Trump che hanno dato l’assalto al Congresso, lo hanno fatto anche a causa della non accettazione del fatto che il leader da loro tanto amato abbia perso le elezioni e dal 20 gennaio alle ore 12 e un secondo non sarà più il Presidente degli Stati Uniti.
PER APPROFONDIRE: HARD ROCK AMERICA. Gli Stati Uniti dopo Trump e la pandemia
Emiliano Battisti
Nato a Roma nel 1986, laurea triennale in Scienze Politiche e specialistica in Relazioni Internazionali presso la LUISS Guido Carli. Stagista presso l’Ambasciata italiana a Washington e presso quella statunitense a Roma. Master in Istituzioni e Politiche Spaziali, esperto di Nord America. Segretario Generale de Il Caffè Geopolitico
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