La morte di Kim Jong un è un argomento di cui si è discusso molto poco negli ultimi tempi e probabilmente neanche il regime nordcoreano era preparato a questa eventualità. Kim potrebbe avere tra i 36 e i 37 anni, quando ha ereditato il potere ne aveva 26 o 27. Troppo giovane per governare, così si credeva nel 2011 quando il padre Kim Jong un è morto improvvisamente. Ma ora, a distanza di 9 anni, Kim appare troppo giovane anche per morire. Cosa potrebbe succedere in un paese come la Corea del Nord, dotato dell’arma nucleare, se dovesse venire a mancare il leader supremo? Non c’è un a risposta semplice a questa domanda perché in fondo a tutti gli attori coinvolti nella questione nordcoreana fa comodo il mantenimento dello status quo. Nessuno, inoltre, potrebbe aver pensato seriamente a un dopo Kim Jong un. Non lo ha fatto forse neache l’élite politica nordcoreana.
Le uniche notizie certe su Kim Jong un sono due. La prima: che Kim ha mancato l’appuntamento del 15 aprile, data simbolo per il Paese e deve aver avuto un motivo più che valido; la seconda, che a inizio della settimana scorsa le immagni via satellite hanno identificato il suo treno a Wonsan, una località turistica dove il regime testa i missili. Questo particolare, tuttavia, non dice nulla sulla salute di Kim. Il resto sono voci che, seppur credibili, necessitano di conferme ufficiali. Domenica sera, invece, fonti ufficiali della Corea Sud hanno detto all’emittente Cnn che Kim sarebbe vivo e starebbe bene.
Con un vuoto di potere la Corea rischa di colassare. Il regime, che ha fatto dell’arma nucleare una questione di sopravvivenza e uno scudo per continuare a esistere, cercherà di evitare a tutti i costi un collasso, trovando una figura che possa subentrare a Kim Jong un. Kim, del resto, appena ereditato il potere ha eliminato il numero due del regime, lo zio Jang Song Thaek. Un personaggio che gli aveva fatto da guida e da mentore ma che aveva mostrato troppa iniziativa, in particolare verso la vicina Cina, con cui la Corea ha avuto nel passato un rapporto che ha oscillato tra l’ammirazione e la sudditanza.
Con Kim i rapporti con la Cina erano conflittuali, almeno all’inizio. Successivamete, il giovane dittatore ha intuito quanto fosse utile a Pyongyang l’appoggio cinese e quanto potesse pesare questa carta nel negoziato con gli Stati Uniti. Ci sono teorie che ipotizzano un colpo di Stato gestito dalla Cina ma pochi pensano seriamente a un intervento cinese nel caso di vuoto di potere. Altre invece propendono per il passaggio dei poteri a Kim Pyong Il, un’altra figura che insieme alla sorella del dittatore viene indicata come suo possibile successore. Kim Pyong Il è il fratellastro di Kim Jong Il, il padre dell’attuale leader, ha 65 anni ed è tornato a casa lo scorso novembre dopo aver servito il paese come diplomatico. Soprattutto, Kim Pyong Il è un uomo e dunque più adatto alla leadership rispetto alla giovane principessa Kim. Su questo punto, qualora dovesse arrivare la conferma della morte di Kim, sarà importante osservare chi guiderà il corteo funebre, in genere è la persona che eredita il potere nei regimi autoritari. La Corea del Sud e gli Stati Uniti dal 1997 hanno un piano per fonteggiare un ipotetico collasso del regime. Il piano OPLAN 5029, i cui dettagli sono segreti. Tale piano prevede una serie di ipotesi, tra cui anche le rivolte di massa contro la leadeship. Il piano esiste sulla carta ed è operativo, ma come scrive Asia Times, né Trump né il presidente sudcoreano Moon avrebbero agito per rispolverarlo.
Una Corea del Nord instabile è certamente un problema per gli Stati Uniti, i quali però hanno l’interesse di vendere armi ed equipaggiamenti militari ai propri alleati, in primis la Corea del Sud. Lo stato a Sud del 38esimo parallelo è l’obiettivo più probabile di un attacco del Nord, come il Giappone. Gli Stati Uniti non lo sono mai stati davvero. Anche il giovane Kim ha sempre saputo che un attacco agli Usa avrebbe significato la risposta immediata degli americani e la cencellazione del regime. Giappone e Corea del Sud, e gli eventi della scorsa estate lo hanno dimostrato chiaramente, hanno una relazione conflittuale per questioni che traggono origine dal passato coloniale, un groviglio difficile da distristicare. Cina e Russia, le due alleate della Corea del Nord, hanno un rapporto ambilavente e ambiguo, dettato dalla convenienza. Gli Stati Uniti con Donald Trump, invece, hanno fatto capire che volentieri farebbero a meno delle spese, onerose, che gantantiscono la protezione militare ai vecchi alleati nel Pacifico. Ma sarebbe la Corea del Sud, il cui presidente progressiata Moon ha spinto nuovamente verso la pacificazione con il Nord, a non essere pronta alla riunificazione, per il peso economico e sociale instostenibile e vista l’arretratezza del vicino. Alla Cina non conviene una Corea del Nord alleata degli Usa perché così Pechino perderebbe l’utilità di uno stato cuscinetto, quale è la Corea del Nord, e di certo non avrebbe piacere a gestire un’ondata di profughi in fuga verso il proprio territorio né sarebbe contenta di avere le truppe Usa alle porte di casa.
Pubblicato Su Il Mattino
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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