Il confine fisico, visibile, tra Cina e Corea del Nord corre lungo il fiume Yalu. Le due sponde, quella cinese e quella nordcoreana non potrebbero essere più diverse, ma questo è un particolare non proprio inaspettato. Da un lato, il panorama offre lo skyline di costruzioni altissime e scintillanti, così alte da sfiorare il cielo, un monumento al progresso e alla modernità. Dall’altro, c’è un terra quasi piatta, spenta e cupa, tutta uguale, apparentemente ferma a settant’anni fa. È una delle prime immagini del documentario Michael Palin in North Korea, dell’ex star dei Monty Python. Il comico, regista e attore britannico, dopo essere stato quasi ovunque nel mondo, nel maggio del 2018 si è spinto fino al paese più oscuro e temibile del pianeta, come viene descritto dai media internazionali. Esiste un posto peggiore della Corea del Nord? Forse no, ma proprio per questo motivo bisognerebbe andarci. Solo 25 ore di treno da Pechino e Pyongyang e un cambio a Dandong.
Michael Palin arriva in Corea del Nord quasi due anni fa, in un periodo storico certamente diverso rispetto anche a pochi mesi prima. Il 2018 è stato l’anno dell’apertura del leader nordcoreano Kim Jong un. Pochi giorni prima dell’arrivo di Michael Palin, il giovane leader e il presidente sudcoreano Moon Jae in avevano provato a scrivere insieme una nuova pagina di storia dei rapporti tra le due Coree. Il 2018 verrà ricordato per il discorso di Capodanno di Kim, per i successi della diplomazia dello sport raggiunti grazie ai Giochi Olimpici invernali di Pyeongchang e per la distensione sperimentata tra i due nemici. Tutto questo aveva spalancato le porte al primo grande summit inter-coreano dal 2011. Alla Peace House di Panmunjeom, uno di fronte all’altro, Kim e Moon si erano parlati in diretta mondiale. Il programma di una giornata ricca di promesse, simbolismi e speranze aveva previsto anche la proiezione di un video clip intitolato A New Spring Enjoyed Together. Palin mette piede in Corea del Nord proprio nei giorni in cui la propaganda stava celebrando lo storico incontro tra i leader del nord e del sud. Speranze che, ad oggi, hanno lasciato il posto ai colpi di artiglieria e ai test missilistici a corto raggio da parte del nord.
Per capire la Corea del Nord è necessario capire il ruolo dei leader. Con questa idea Palin conduce il proprio documentario, pronto a svelare gli aspetti più profondi della relazione tra il popolo nordcoreano e i volti della dittatura. I ritratti del grande leader Kim Il sung e del figlio, il caro leader Kim Jong il, sono ovunque a Pyongyang, nei vagoni dei treni della metro fino ai badge sulle giacche delle guide turistiche del governo, al posto del cuore. Le statue di entrambi, a Mansu Hill, sorridono alla città dai loro 22 metri di altezza, lo sguardo benevolente serve ispirare pensieri positivi ai nordcoreani. L’unità di cuore e di spirito intorno alla leadership permea ogni aspetto delle società e forgia la mente dei nordcoreani. «Criticare il nostro leader è come criticare noi stessi, come offendere noi stessi», afferma la guida di Palin, una ragazza di nome So Hyang, in un insolito momento di relax e predisposizione al dialogo. L’itinerario parte dalla “bolla” di Pyongyang, in alcune parti del filmato, meno spoglia e vuota di quanto ci si potrebbe aspettare. Quasi brulicante di vita, addirittura, ma – spiega lo stesso Palin – succede nella capitale perché comunque è più prospera rispetto al resto del paese. Una ragazzina con il sogno di ventare una famosa scrittrice, studentessa di una scuola di Pyongyang, recita un poema scritto da lei stessa in onore del Monte Paektu, il luogo natale di Kim Jong il, come viene insegnato ai nordcoreani. Il tono partecipato e solenne colpisce più del fatto che gli studenti conoscano l’inglese e i paesi disegnati sul globo gonfiabile che Palin lancia come un pallone tra i banchi, sotto lo sguardo terrorizzato dell’insegnante. E sul Monte Paektu una guardia di Kim racconta la leggenda della nascita del caro leader: «Il 16 febbraio del 1941 il c’era il gelo e un forte vento, ma quando nacque Kim Jong il improvvisamente sbucò il sole, il vento si fermò e divenne di colpo primavera». PeccKim il Suato che Kim Jong il sia nato in Unione Sovietica.
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Nella zona demilitarizzata tra le due Coree Palin scambia qualche battuta con un militare e riemerge una questione ancora dibattuta dagli storici: chi ha la responsabilità di aver fatto scoppiare la guerra di Corea. La teoria più popolare in Occidente vuole che sia stato il nord ad attaccare per primo il sud, che godeva dell’appoggio Usa e delle Nazioni Unite. Gli scontri, anche violenti, al confine andavano avanti in realtà da più di un anno e ci sono valide ragioni per credere che non sia andato esattamente come è stato raccontato in Occidente. «Il 25 giugno del 1950 gli Stati Uniti d’America hanno dato inizio alla Guerra di Corea. Durante il primo anno di guerra subirono un duro colpo da parte nostra. Abbiamo vinto al tavolo dei negoziati e questo ci ha condotti alla vittoria», afferma il militare. «Voglio farti una domanda – prosegue il tenete rivolto a Palin – se un coniglio è attaccato da un branco di lupi e deve difendere la propria casa, chi pensi che vinca?».
Palin si addentra nella Corea del Nord rurale e remota, per arrivarci impiega ore e ore di viaggio in auto su una strada in uno stato pietoso immersa nel nulla più totale. Una contadina piegata a coltivare la terra, con le mani, si rialza, apre le porte di casa sua e mostra al visitatore le foto dei pesci, grandi e grassi, regalo di Kim Jong un per ringraziarla del duro lavoro nei campi. Le foto hanno tanto di cornice e viene riservato loro lo stesso riguardo dei ritratti di famiglia. «Posso ancora sentirne il sapore dolce in bocca», afferma la contadina. Riguardo la fame e la povertà di cui tanto si parla e si scrive, la contadina è a dir poco schiva. «Ma va molto meglio rispetto agli anni Novanta?», domanda Palin, riferendosi al periodo immediatamente successivo alla caduta dell’URSS. «Sì, va molto meglio ora». Segue il silenzio.
Il resto del documentario sono aeroporti vuoti, hotel spettrali, serissime partite a ping pong, centri benessere, mare e spiagge, progetti turistici in corso, cuore della strategia di Kim Jong un per il rilancio dell’economia, e meraviglie della natura. Meraviglie, sì, perché la Corea del Nord forse può essere anche bella.
Pubblicato su Osservatorio Corea del Nord
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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