di Priscilla Inzerilli
Ha creato scalpore il caso del giovane studente americano Otto Warmbier, finito in coma 15 mesi fa nelle carceri di Pyongyang e deceduto lo scorso 19 giugno, a meno di una settimana dal suo rimpatrio. Warmbier è deceduto a causa di gravi complicanze cerebrali dovute, si suppone, ad abusi fisici subiti in cella oppure a un episodio di avvelenamento da botulino.
Il giovane, che si trovava in Corea del Nord per un soggiorno di piacere, era stato arrestato nel gennaio del 2016 per aver compiuto “atti ostili contro il Paese”. Così era stata definita dalle autorità nordcoreane la “bravata” di Otto, ovvero il furto di un poster propagandistico che lo studente aveva trafugato poco prima di lasciare l’albergo nel quale risiedeva con i suoi compagni di viaggio.
Otto Warmbier non è stato il primo cittadino statunitense a essere stato arrestato in Corea del Nord. Negli ultimi vent’anni, infatti, sarebbero stati almeno 16 gli americani trattenuti dal regime con le più svariate accuse, dallo spionaggio, ai cosiddetti “atti ostili” fino al proselitismo religioso.
Negli ultimi vent’anni sarebbero stati almeno 16 gli americani trattenuti dal regime nordcoreano con le più svariate accuse, dallo spionaggio ai cosiddetti “atti ostili” fino al proselitismo religioso
A differenza del giovane Warmbier, però, tutti gli altri prigionieri avevano infine fatto ritorno in patria illesi, pur confermando le durissime condizioni di detenzione a cui erano stati sottoposti. Quasi nessuno di loro aveva tuttavia dichiarato di aver subito violenza fisica dai propri carcerieri.
Chi conduce le trattative
La ragione del particolare riguardo generalmente mostrato da Pyongyang nei confronti dei “prigionieri” americani è che essi rappresentano per il regime una preziosa merce di scambio, per ottenere vantaggi negoziali con gli Stati Uniti nell’ambito di incontri non ufficiali. Uno di questi è avvenuto nel 2014 tra un alto grado dell’esercito nordcoreano e James Clapper, capo dell’intelligence sotto l’Amministrazione di Barack Obama, incontratisi per trattare la liberazione di alcuni ostaggi.
Poco dopo l’arresto di Warmbier, Washington e Pyongyang hanno ripreso i colloqui “segreti” affidando il compito a due figure di rilievo: Suzanne DiMaggio, direttrice del think-tank New America, coinvolta anche nei negoziati sul nucleare con l’Iran, e la signora Choi Sun Hee, attualmente direttore generale dell’Ufficio per gli Affari del Nord America del Ministero degli Esteri della Corea del Nord.
Quest’ultima è considerata estremamente vicina al giovane dittatore Kim Jong-un, nonché un elemento di primo piano nell’ambito dei negoziati sullo sviluppo del programma missilistico e nucleare nordcoreano sin dall’epoca dell’Amministrazione del presidente Bill Clinton. Le due si sarebbero incontrate nell’arco dell’ultimo anno in diverse occasioni stabilendo un dialogo di tipo “track two”, ovvero indipendentemente dalla presenza di figure governative ufficiali.
I colloqui “segreti” sono affidati a Suzanne DiMaggio, direttrice del think-tank New America, e alla signora Choi Sun Hee, direttore generale dell’Ufficio per gli Affari del Nord America del Ministero degli Esteri della Corea del Nord
Ma la signora DiMaggio non è l’unica ad aver trattato con Pyongyang per conto degli Stati Uniti. Come riportato dal Wall Street Journal, a partecipare a una serie di incontri non ufficiali (almeno una ventina) con diplomatici nordcoreani è stato anche l’ex governatore del Nuovo Messico, Bill Richardson, il quale avrebbe incontrato “Madame” Choi lo scorso mese, considerata «un interlocutore prezioso per via della sua esperienza e delle sue connessioni». Gli incontri tra Richardson e i diplomatici nordcoreani sarebbero avvenuti per lo più a New York, nei pressi della sede delle Nazioni Unite, e sarebbero stati focalizzati sul rilascio di Warmbier.
Sempre secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, i rappresentanti americani che hanno incontrato la signora Choi avrebbero riferito che, secondo il diplomatico nordocoreano, Pyongyang ha tutta l’intenzione di mantenere l’arsenale nucleare, ma si dichiara disposta a incontrare gli ufficiali statunitensi per discutere della possibilità di limitare il proprio programma di sviluppo, ma solo «a determinate condizioni».
«Considerate le condizioni del signor Warmbier» aveva dichiarato DiMaggio il giorno prima del decesso del giovane Otto Warmbier, «qualsiasi progressione nel percorso diplomatico potrebbe risultare estremamente difficile». E riferendosi ai tre prigionieri americani tuttora detenuti in Corea del Nord ha affermato che, qualora non verranno rilasciati immediatamente, «potrebbero crearsi delle condizioni potenzialmente gravi per l’andamento dei colloqui». La sensazione, però, è che entrambi i Paesi continueranno a privilegiare i canali di comunicazione informali ancora a lungo.
Redazione
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