Come uno tsunami si abbatte sulla costa e travolge tutto, così un rapporto della CIA sembra aver spazzato via le speranze che il regime di Kim Jong Un possa davvero dire addio al programma atomico. La Corea del Nord non vuole la denuclearizzazione della penisola, è questa la tesi sostenuta in un documento diffuso dall’agenzia d’intelligence statunitense sulle reali intenzioni del regime di Pyongyang. Il report ha tenuto in considerazione gli incentivi che gli Stati Uniti e la Corea del Sud sarebbero pronti a offrire alla Corea del Nord in cambio del disarmo, inclusi aiuti all’agricoltura e alle infrastrutture.
Il documento però non ha mancato di riportare l’ottimismo del presidente sudcoreano Moon Jae In, che si fa forte del solido rapporto costruito con Kim in questi ultimi mesi. La Casa Blu, riferisce il report, sta considerando la possibilità di redigere una dichiarazione formale che metta fine alla guerra tra i due Paesi per la quale un trattato di pace manca dal 1953, anno in cui terminarono le ostilità della Guerra di Corea.
La necessità di un trattato di pace era stata ripresa da Moon domenica 27 maggio durante una conferenza stampa sull’incontro avuto il giorno prima con Kim Jong Un. Durante quell’incontro non programmato Moon ha avuto da Kim una serie di rassicurazioni: la disponibilità a una «completa denuclearizzazione», la volontà di cooperare con il Sud per la pace e la stabilità della penisola e quella di un incontro soddisfacente con il presidente americano Trump. Moon in conferenza aveva detto che se da un lato Kim si è impegnato ad abbandonare le armi nucleari, dall’altro teme per la sicurezza del suo regime.
A Kim – ha spiegato Moon – non è chiaro il livello di garanzie che gli Stati Uniti vogliono dare a Pyongyang in cambio della denuclearizzazione. Il rapporto della CIA è successivo a un’analisi pubblicata dal New York Times che chiarisce quanto sia difficile smantellare interamente il programma atomico nordcoreano. Per raggiungere questo obiettivo – si legge nell’articolo – ci vorrebbero più di 15 anni. A spiegarlo è stato Siegfried Hecker, professore alla Stanford University e grande esperto di armi atomiche che insieme a dei colleghi ha svolto un’indagine circolata poi a Washington.
Hecker ha diretto il laboratorio del governo federale americano a Los Alamos, in New Mexico, e conosce molto bene il tipo di capacità nucleari a disposizione della Corea del Nord. Anche per lui, come per altri esperti, non ci sarebbe alternativa a una denuclearizzazione a più fasi. Nell’intervista che ha rilasciato al giornale Hecker ha spiegato che il negoziato con la Corea del Nord deve includere richieste coraggiose sui tempi e i modi per realizzare la tanto auspicata denuclearizzazione. Su questo – ha detto il professore – gli Stati Uniti dovranno essere precisi. L’articolo ricorda inoltre che in settimana Trump, smentendo pubblicamente il consigliere Bolton, ha riconosciuto per la prima volta che la Corea del Nord non può abbandonare l’atomica in un colpo solo. Nel negoziato sarà importante definire – ha detto ancora Hecker – dove termina l’uso militare del nucleare e dove inizia quello civile.
Mentre i dubbi sulla denuclearizzazione non fanno che aumentare, non si fermano le trattative sullo storico incontro fra Trump e Kim Jong un. La delegazione statunitense incaricata di svolgere i preparativi del summit ha incontrato in questi giorni un gruppo di ufficiali di Pyongyang nella zona demilitarizzata al confine tra le due Coree. Nelle stesse ore Joe Hagin, membro dello staff operativo della Casa Bianca, è atterrato a Singapore per definire gli aspetti logistici del summit ancora fissato per il 12 giugno. Inoltre, il vice presidente della Commissione Centrale del Partito dei Lavoratori della Corea del Nord è arrivato a New York. Kim Yong Chol, come ha riferito la portavoce della Casa Bianca Sara Sanders, vedrà il segretario di Stato Mike Pompeo alla fine di questa settimana. Sanders ha anche detto che Trump ha in programma per il 7 giugno un meeting con il premier giapponese Shinzo Abe, preoccupatissimo di ricevere dagli Stati Uniti la sicurezza che Kim Jong Un rinunci completamente non solo al programma atomico ma anche a quello missilistico.
Il viaggio di Chol negli Stati Uniti è il segnale più chiaro che il vertice tra USA e Corea del Nord non è un’opzione da ritenere tramontata, nonostante la lettera del 24 maggio inviata da Trump a Kim avesse fatto pensare al contrario. Nei preparativi febbrili che precedono l’incontro tra il Capo della Casa Bianca e il presidente della Repubblica Popolare Democratica di Corea – come Washington, in segno di rispetto, ha iniziato a chiamare Kim Jong Un – la Russia di Putin non ha alcuna intenzione di rimanere in disparte. L’agenzia di Stato nordcoreana KCNA ha infatti confermato che il ministro degli Esteri russo Lavrov il 31 maggio incontrerà il suo omologo nordcoreano Ri Yong Ho durante una visita in Corea del Nord. I due faranno il punto sulle questioni più urgenti nelle relazioni bilaterali e sulla situazione in cui versa la penisola coreana. Parlando ai media, Lavrov ha chiarito che la denuclearizzazione dovrà essere accompagnata da garanzie alla sicurezza a favore della Corea del Nord, definendo ancora una volta il ruolo della Russia quale alleata, insieme alla Cina, del regime di Pyongyang.
La sirena d’allarme però non suona solo per le richieste sulla denuclearizzazione. Pare che gli Stati Uniti abbiano deciso di cancellare qualsiasi riferimento ai diritti umani dal negoziato con la Corea del Nord. La notizia è abbastanza angosciante perché, secondo le stime americane, il regime di Kim detiene tra gli 80mila e 120mila prigionieri politici in campi di lavoro.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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