Il 31 maggio il presidente americano Donald Trump ha ricevuto a Washington il vice presidente del Partito dei Lavoratori della Corea del Nord, il potente numero due del regime ed ex direttore dei servizi segreti nordcoreani Kim Yong Chol. Lo stesso giorno, e non è una semplice coincidenza, Kim Jong Un ha incontrato a Pyongyang il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il viaggio del capo della diplomazia russa è stato una delle rare occasioni di confronto tra un alto rappresentante del Cremlino e un membro della famiglia Kim ed è servito a rinfrancare la vecchia alleanza tra Mosca e Pyongyang.
Non solo, dopo Lavrov, il prossimo a incontrare Kim potrebbe essere lo stesso presidente russo Putin che la settimana prossima, dopo la tappa in Cina per il summit della Shanghai Cooperation Organization, potrebbe fare rotta sulla capitale nordcoreana. Lavrov si è fatto carico delle richieste di Kim in merito alla tanto ricercata denuclearizzazione della penisola coreana e al disarmo unilaterale. La Russia, ha spiegato Asia Times, sostiene la necessità di un iter a più fasi in cui devono esserci concessioni da entrambi i lati. «Nessuna soluzione – ha detto Lavrov – potrà essere trovata fino a quando resteranno in vigore le sanzioni internazionali». Mosca, inoltre, rivendica un ruolo da protagonista nella definizione dei nuovi equilibri geopolitici in Asia orientale. Lavrov, infatti, ha proposto di rispolverare il tavolo dei “colloqui a sei”, round di negoziati a cui partecipavano i delegati delle due Coree, della Cina, degli USA, del Giappone e della Russia. Nell’ipotesi di un futuro senza più sanzioni, per agevolare la connessione tra Mosca e Seoul via Pyongyang la Russia intende riprendere il progetto del collegamento tra la Transiberiana e la linea ferroviaria inter-coreana. Nelle intenzioni di Putin c’è anche l’idea di costruire parallelamente un condotto per il trasporto di gas.
Gli “amici” di Kim Jong Un
Negli ultimi giorni sembra sia scattata la corsa a incontrare Kim Jong Un. Un dispaccio dell’agenzia di Stato nordcoreana KCNA ha diffuso la notizia di un eventuale prossimo incontro tra il presidente siriano Assad e il giovane Kim. Non c’è stata nessuna conferma da parte del regime siriano. Tuttavia, la fuga di notizie potrebbe aver dato molto fastidio a Trump. Che sia una tattica di Kim per dimostrare agli USA che la Corea del Nord ha anche altre altre carte da giocare? Forse, ma l’annuncio non giova di certo alla nuova immagine di “bravo ragazzo” che Kim vuole trasmettere all’esterno.
La Corea del Nord può contare sull’appoggio di diversi “amici” anche nella regione del Sudest asiatico, dove alcuni Paesi non aspettano altro che tornare in affari con il regime di Kim Jong Un. Le nazioni “non allineate” della regione, dalla Cambogia al Vietnam, dalla Malesia all’Indonesia non sono mai state molto favorevoli alla linea dura verso Pyongyang, alle sanzioni internazionali contro la sua economia e all’approccio basato sull’assunto della “massima pressione”, più volte sbandierato da Trump. Se il summit del 12 giugno tra il capo della Casa Bianca e il leader nordcoreano Kim Jong Un dovesse portare a un accordo sulla denuclearizzazione, le sanzioni sarebbero alleggerite e il denaro tornerebbe a scorrere copioso verso la Corea del Nord. Come sottolinea il Washington Post, a prescindere da come andrà il summit, le relazioni tra la Corea del Nord e i suoi vicini asiatici non potrebbero che migliorare perché già adesso sono tutt’altro che cattive.
Singapore, la sede scelta per il meeting tra Kim e Trump, è stato uno dei Paesi maggiormente inclini alle sanzioni multilaterali e meno tolleranti verso il commercio illegale con Pyongyang. Tuttavia, questo non ha impedito a due grandi società di Singapore di esportare beni di lusso in Corea del Nord, tra cui alcolici e orologi. Tra i migliori amici del regime di Kim ci sarebbe anche la Malesia, che sembra aver archiviato il trambusto scatenato l’anno scorso dalla morte del fratellastro di Kim Jong Un all’aeroporto di Kuala Lumpur, attacco che sarebbe partito da un preciso ordine del leader supremo. Carl Baker, del think tank Pacific Forum, non ha usato giri di parole: «Corea del Nord e Malesia sono chiaramente tornate in affari». Già durante il suo precedente mandato il primo ministro malese Mahathir Mohamad aveva definito la sua posizione continuando a ripetere che le sanzioni non erano la tattica migliore per avere a che fare con la Corea del Nord. La pensano allo stesso modo diversi leader asiatici, che nonostante i rapporti difficili sul piano politico, preferiscono mantenere un atteggiamento di neutralità verso il regime nordcoreano e verso le dispute che riguardano gli Stati Uniti e i loro alleati.
Anche la Cambogia si conferma un Paese poco ostile nei confronti dell’ex regno eremita, nonostante l’impegno dichiarato a rispettare le sanzioni internazionali. Nel 2017 a bordo di una nave battente bandiera cambogiana, partita dalla Corea del Nord e diretta in Egitto, è stato scoperto un carico di 30mila ordigni adatti ad essere caricati su missili. Inoltre, una delle donne accusate di aver materialmente causato la morte del fratellastro di Kim ha dichiarato in tribunale di essere stata in Cambogia appena due settimane prima dell’omicidio per una sorta di prova generale dell’attacco all’aeroporto di Phnom Penh.
Dino Patti Djalal, ex ambasciatore indonesiano negli USA, ha provato a dare una spiegazione al sentimento dei Paesi del Sudest asiatico verso la Corea del Nord, sentimento completamente opposto alla campagna incentrata sulla “massima pressione”. «Provare a mantenere un approccio ‘give – give – give‘ al posto di uno ‘give and take‘ potrebbe dare dei risultati positivi», ha affermato l’ex diplomatico.
Il ruolo del Giappone
Mentre Kim continua a tessere la sua rete di alleanze, una dichiarazione dell’avvocato di Trump Rudy Giuliani rischia di avvelenare i rapporti già delicati tra i due leader, quando mancano solo cinque giorni allo storico summit di Singapore. «Dopo la lettera di Trump – ha detto Giuliani – Kim si è messo in ginocchio e ha supplicato affinché il summit non fosse cancellato». A dimostrazione invece della sua predisposizione a trovare un accordo con Trump, il dittatore nordcoreano aveva deciso di allontanare tre vertici militari che si opponevano all’apertura agli USA.
La settimana scorsa Donald Trump ha confermato la data del 12 giugno, dopo aver ricevuto da Kim Yong Chol una lettera del leader supremo il cui contenuto però non è stato rivelato. L’atteso incontro, ha fatto sapere l’Amministrazione americana, avverrà al Cappella Hotel di Sentosa, isola di Singapore. Intanto, il premier giapponese Abe, a Washington giovedì 7 giugno, punta a fare pressioni sul presidente americano perché riconosca anche gli interessi del Giappone nel negoziato con la Corea del Nord: non solo la fine del programma nucleare ma anche lo stop a quello missilistico, inclusi i missili a corto raggio che possono colpire il territorio nipponico, e la questione dei cittadini giapponesi rapiti dai nordcoreani tra gli anni Settanta e Ottanta.
Erminia Voccia
Giornalista professionista, campana, classe 1986, collabora con Il Mattino di Napoli. Laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università “L’Orientale” di Napoli. Master in giornalismo e giornalismo radiotelevisivo presso Eidos di Roma. Appassionata di Asia.
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