Il leader dell’IS Abu Bakr al Baghdadi, che il 5 luglio del 2014 si autonominò califfo di tutti i credenti, è morto sabato notte a Barisha, piccolo villaggio della provincia di Idlib, nella Siria nord-occidentale. Secondo quanto riferito dal Presidente americano Donald Trump nel corso di una conferenza stampa dai toni durissimi: «Al Baghdadi si è fatto saltare in aria e ha ucciso tre dei suoi figli che erano con lui». Trump ha aggiunto che Al Baghdadi «era un uomo malato e depravato, violento ed è morto come un codardo, come un cane, correndo e piangendo».
La missione è stata denominata «Mission Kayla Mueller» in memoria della cooperante americana rapita nel 2013 dall’IS ad Aleppo, in Siria, mentre usciva da un ospedale di Medici senza frontiere. La donna, ostaggio e poi schiava dell’IS, è stata dichiarata morta nel 2015 dalla sua famiglia senza che si sia mai potuto recuperarne il corpo. La versione ufficiale riferisce di un’operazione studiata per mesi e che è entrata nella fase operativa circa due settimane fa. Quanto svelato da Donald Trump ci riporta al blitz che vide l’uccisione di Osama Bin Laden il 2 maggio del 2011, a Abottabad, località nei pressi di Islamabad, Pakistan, luogo nel quale, da sempre vivono e lavorano molti alti ufficiali dell’esercito pachistano e dell’Inter-Services Intelligence (ISI), il servizio segreto locale temibile per la sua doppiezza nei confronti del terrorismo.
La posizione della Russia e le imprecisioni di Trump
Abu Bakr al Baghdadi, come ha affermato Trump, si è ucciso in un tunnel dal quale non si poteva uscire facendosi saltare in aria con il suo giubbotto esplosivo. Nel compiere l’estremo gesto ha ucciso anche tre dei suoi figli, che aveva trascinato con sé. A proposito dei resti del corpo di Abu Bakr Baghdadi, il consigliere per la sicurezza nazionale americana Robert O’Brien, rispondendo ad una domanda, ha fatto intendere che saranno trattati come quelli di Osama Bin Laden, ovvero gettati in mare. Sarà molto difficile confutare questa affermazione visto quanto accadde con il principe del terrore saudita.
Per The New York Times e The Guardian, la versione ufficiale sarebbe piuttosto lacunosa. In base a tale lettura, non sarebbe credibile, ad esempio, la circostanza citata da Trump che Al Baghdadi urlasse e piangesse nel tunnel. Non solo perché in netto contrasto con lo spessore criminale dell’uomo, ma anche perché nella “Situation Room” di Washington le immagini arrrivavano senza audio e solo i soldati presenti nel tunnel, muniti di telecamere sull’elmetto, hanno visto il califfo nei suoi ultimi istanti di vita.
Ci sarebbero anche i dubbi dei russi, sollevati da Russia Today che smentiscono i raid Usa. «Non ci sono dati credibili per dimostrare che si è verificato un raid americano di successo contro il leader dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi», ha affermato il Ministero della Difesa russo. «La coalizione americana non ha nemmeno effettuato attacchi aerei a Idlib di recente», ha aggiunto la Russia. Il giornalista italiano Alberto Negri sul suo profilo facebook ha rincarato la dose: «I testimoni in zona parlano di tre ore di battaglia, raid e bombardamenti: fatti da chi e come? Da un aereo Usa e da sei elicotteri che poi dovevano tornare in Iraq? In Iraq o in Turchia che è a 5 minuti di volo ed è un Paese con basi Usa e Nato? Un racconto che fa acqua da tutte le parti: forse a Trump il Pentagono ha dato informazioni monche perché non si fida». Fonti dell’intelligence di Ankara hanno confermato che insieme al califfo sarebbe morto anche il misteriosissimo portavoce e presunto n°2 dell’IS Hassan al-Muhajir, ucciso da un drone USA in un’altra località della Siria nord orientale.
Le ultime ore di Abu Bakr al Baghdadi
Il califfo, rimasto ormai senza il suo califfato, era da tempo braccato dagli americani, dai russi, dai moltissimi cacciatori di taglie che volevano incassare i 25 milioni di dollari che pendevano sulla sua testa, dagli iracheni, dalla Syrian Democratic Forces e persino dai cugini-nemici di Al Qaeda che non vedevano l’ora di fargli la pelle. Niente amici, sempre ammesso che ne abbia mai avuti, se non gli uomini dello sparuto gruppo di fedelissimi che lo ha protetto fino all’ultimo atto. Secondo fonti del Millî İstihbarat Teşkilâtı, i servizi segreti turchi, il leader dell’IS era arrivato nel villaggio di Barisha, provincia di Idlib a soli cinque chilometri dalla Turchia, da appena due giorni. Con lui la sua guardia personale due mogli che indossavano giubbotti esplosivi ( non azionati ma che sono state comunqe uccise) e un numero imprecisato di bambini ( forse 10) tra i quali tre figli piccoli di Al Baghdadi, morti con lui nel tunnel.
Ma perché recarsi proprio in una zona a lui ostile visto che abbonda di di gruppi jihadisti in primis i combattenti dell’Ayat Tahrir al Sham, Fronte al Nusra, nemici giurati dell’IS in quanto organici ad Al Qaeda? È probabile che il leader dell’IS non avesse più opzioni. Così come è possibile che chi lo ha attirato a soli cinque chilometri dal confine turco gli abbia promesso di farlo entrare in Turchia, ben sapendo che non ci sarebbe mai arrivato.
Nelle ore successive al blitz i i curdi, per bocca del comandate delle SDF curde, Mazloum Abdi, hanno detto che «si tratta di un’operazione storica e una grande successo». Il Jihaz Al-Mukhabarat Al-Amma, i servizi segreti iracheni, hanno parlato del loro ruolo definito come «molto importante» nel segnalare alla Delta Force Usa gli spostamenti di Al Baghdadi. Ultimi, ma solo per tempismo, i turchi che hanno reso noto il loro «proficuo scambio di informazioni con gli americani». Tra tutti quelli che hanno certamente avuto un ruolo e non secondario nell’eliminazione di Abu Bakr Al Baghdadi, un posto d’onore lo merita il governo islamista di Ankara, un tempo sodale dell’IS. Dalla Turchia sono passati indisturbati migliaia di foreign fighter europei, armi, soldi e il tonnellate di petrolio, un contrabbando che ha arricchito a dismisura lo Stato Islamico. Il gruppo ha potuto contare sulle accoglienti banche turche. Forse il califfo voleva entrare in Turchia per riprendersi in possesso del suo malloppo?
Follow the Money, dove sono i soldi dello Stato islamico?
A proposito di denaro, il rapporto dell’International Center for the Study of Radicalization and Political Violence (Icsr) descrive come nell’arco di due anni le entrate finanziarie della più ricca organizzazione terroristica al mondo si siano in pratica dimezzate. Tra giugno 2014 e la fine del 2016 sono passate due miliardi di dollari a circa 870 milioni di dollari, che sono comunque moltissimi. Ora che il califfo è morto, chi ha le chiavi della cassa dell’IS? Ma ancora più importante è sapere dove siano finiti i soldi di Al Baghdadi e sodali.
Da ieri il sostituto del defunto califfo sarebbe (il condizionale è d’obbligo) l’iracheno di origine turkmena Abu Abdullah Al Qardash, conosciuto anche come Hajji Abdullah al-Afari o Abdal-Rahman- al Mawla e noto come il “distruttore” per l’immane ferocia mostrata contro gli yazidi. Di sicuro di Abu Abdullah Al Qardash ne sentiremo presto parlare.
Stefano Piazza
Giornalista, attivo nel settore della sicurezza, collaboratore di Panorama e Libero Quotidiano. Autore di numerosi saggi. Esperto di Medio Oriente e terrorismo. Cura il blog personale Confessioni elvetiche.
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