Cosa sappiamo dell'attacco a Telegram dalla Cina

Telegram ha denunciato un “potente” attacco informatico Ddos (Distributed Denial of Service) di “Indirizzi IP provenienti principalmente dalla Cina” durante le proteste in corso ad Hong Kong lo scorso 12 giugno, quando si sono verificati scontri tra i manifestanti e la polizia. Mercoledì 12 giugno è stata una giornata segnata dalle violenze, la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere la folla. Quel giorno l’app di Telegram è stata oggetto di attacchi tali da impedire il funzionamento del servizio. Secondo la compagnia, dietro l’attacco ci sarebbe la Cina. “Storicamente tutti i Ddos (200-400 Gb/s di dati-immondizia) della dimensione di quelli fatti da attori statali che abbiamo subito finora hanno coinciso con proteste a Hong Kong (coordinate su @telegram). Questo caso non è stato un’eccezione”, ha twittato il fondatore e aministratore delegato di Telegram Pavel Durov. Successivamente, Telegram ha ripreso a funzionare e la compagnia ha dato su Twitter altre informazioni in merito all’attacco.

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Telegram si è rivelato uno strumento molto utile per organizzare e coordinare la mobilitazione. A ridosso delle proteste sarebbe stata l’app più scaricata ad Hong Kong, riporta il Scmp. Telegram è di solito veicolo preferenziale per chi cerca di aggirare i controlli delle autorità: dai jihadisti del sedicente Stato Islamico, agli spacciatori di sostanze stupefacenti fino agli attivisti per i diritti umani perché i messaggi nelle chat segrete possono essere cancellati e spariscono dopo un certo lasso di tempo. Il dubbio è che cyber criminali cinesi avrebbero impedito il servizio per ostacolare le proetste. Non solo. Ivan Ip, un giovane amministratore di un gruppo, è stato arrestato dalla polizia di Hong Kong con l’accusa di cospirazione, riferisce askanews.

Nel fine settimana appena trascorso i cittadini dell’ex colonia britannica hanno invaso di nuovo le strade per chiedere la revoca definitva dell’emendamento alla legge sull’estradizione, non essendo soddisfatti dell’inizale passo indietro della leader Carrie Lam e della sospensione in via definitiva del provvedimento. Domenica 16 giugno i manifestanti sono stati quasi due milioni, il doppio rispetto alla settimana precedente. Per Pechino, è importante che nella Cina continentale non arrivino le informazioni sulle proteste, motivo per cui la censura ha finzionato a pieno ritmo. Durante le manifestazioni per molti utenti di WeChat, scrive The Diplomat, è stato impossibile inviare foto e video per documentare quello che stava accadendo. Inoltre, i media cinesi nella madrepatria hanno “tralasciato” Hong Kong e la crisi politica, che non trova precedenti da quando l’ex colonia britannica è passata alla Cina nel 1997, per dare maggiore rilevanza al viaggio del presidente Xi Jinping in Kazakistan per un vertice internazionale e al suo 66esimo compleanno. Ad Hong Kong l’accesso a Telegram è permesso, diversamente dalla Cina continentale dove invece è bloccato. I manifestanti di Hong Kong, scrive Bloomberg, hanno deciso di rendersi irriconoscibili ai sistemi di sorveglianza cinese e ai sistemi che prevedono il riconoscimento facciale, mascherandosi il viso ed evitando di usare le tessere identificative per il trasporti pubblici.