Le prossime sanzioni economiche promesse dal presidente americano Donald Trump colpiranno il cuore del governo di Nicolas Maduro. Per porre fine alla crisi di Caracas gli Stati Uniti puntano direttamente al portafogli delle figure più vicine al presidente venezuelano.
La first lady Cilia Flores, la vicepresidente e capo dell’Assemblea Costituente Delcy Rodrìguez e i ministri della difesa e dell’informazione Vladimir Padrino e Jorge Rodrìguez avranno i conti bloccati e le transazioni limitate. Questo è quanto affermato il 25 settembre dal dipartimento del tesoro statunitense per arrestare la «tragedia umana» che si sta consumando nel Paese sudamericano.
La crisi economica in Venezuela è scoppiata nel 2010, quando era ancora presidente Hugo Chàvez, poi morto di cancro il 5 marzo 2013. All’abbassamento dei prezzi del petrolio e alla carenze di materie prime, il suo successore, l’ex conduttore di tram Nicolas Maduro, non ha saputo far fronte, da quando è salito al potere il 19 aprile dello stesso anno.
Preoccupato dall’instabilità economica e sociale del Paese, Maduro ha messo solo uomini fidati dell’esercito a guidare i ministeri, tanto che non è stato posto rimedio all’inflazione, mentre alle proteste della popolazione facevano seguito solo violente repressioni.
Dal 2014 le opposizioni manifestano in piazza il proprio dissenso, ma sono finora state vittime di sanguinose conseguenze. A tutt’oggi i morti accertati nel corso degli otto anni di crisi sono almeno 240, i feriti quasi 19mila, gli arresti oltre 34mila.
Lo Stato venezuelano non è in grado di superare la crisi da solo, ma l’emergenza umanitaria, dovuta soprattutto alla mancanza di cibo, medicinali e materie prime, non può godere di aiuti esterni vietati dal governo. Il timore di Maduro è quello di un golpe internazionale, che voglia rovesciarlo, come nel caso, sospetto e non riuscito, dell’attacco supportato da droni carichi di dinamite, esplosi in volo prima che raggiungessero il presidente impegnato in un comizio pubblico.
Se da una parte il controllo politico del Stato è saldamente nelle mani di Maduro che, grazie al boicottaggio delle opposizioni nelle elezioni del 4 agosto 2017, guida l’Assemblea Costituente con 503 seggi a favore su 545, dall’altra la popolazione, quando ha i mezzi per farlo, ha scelto la via dell’emigrazione. Su una popolazione di 30 milioni, sono fuggiti già in 2,5 milioni. Se questo flusso rimarrà invariato anche nelle prossime settimane, entro dicembre gli emigrati venezuelani in realtà più piccole come Colombia e Perù saranno circa 5 milioni.
«Il dramma nazionale è così grave che la popolazione si preoccupa delle prime necessità, di come sopravvivere il giorno successivo, non a fare la rivoluzione. Ci sono famiglie con tre e quattro figli che sono costrette a vivere con un pasto al giorno», ha detto ad Agenzia Stampa Italia il corrispondente del Diario de Las Américas Carlos Omobono. «Dicono che gli Stati non possano fallire, ma un Paese con il tasso dell’inflazione al 1000% può durare al massimo 7 mesi, dicono gli economisti, prima di collassare. Purtroppo queste condizioni fanno venir meno la coesione sociale. In una realtà così disperata si pensa al salvare se stessi e pochi si spendono per il benessere sociale. È un vicolo cieco dal quale è difficile uscire. Dopo mesi di sanzioni gli Stati Uniti hanno capito che è necessario colpire gli interessi personali del presidente e le persone a lui vicine, non quelli generali del Paese, ma dubito queste misure rappresentino la soluzione».
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia
Redazione
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