La cybersicurezza e lo stato dell’arte italiano, europeo e internazionale. Il rafforzamento riguardante la Golden power, la definizione delle infrastrutture strategiche e gli scenari futuri della cyber guerra. Sono questi i temi emersi nel dibattito tenutosi al Centro Studi Americani “Il futuro geopolitico: la linea rossa ucraina” organizzato nella sede di via Caetani a Roma in collaborazione con Open Gate Italia e Paesi Edizioni.
Ad aprire i lavori Roberto Sgalla, direttore del Centro Studi Americani, e Andrea Morbelli, capo del public affairs di Open Gate Italia, coadiuvati da Luciano Tirinnanzi, direttore generale di Paesi edizioni, nel ruolo di moderatore. Alla domanda di quest’ultimo riguardo la sensazione che ha l’opinione pubblica di un solo parziale utilizzo dei russi dello strumento cyber nell’attuale conflitto ha così precisato Roberto Baldoni, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn): «In realtà abbiamo registrato la prima ondata d’attacchi cyber da parte dei russi già dal 14 gennaio. Bisogna distinguere tra attacchi con malware che distruggono le informazioni e quelli che tendono ad oscurare i siti. Il problema della cyber è che ci possono essere spillover, ovvero effetti collaterali all’interno delle proprie strutture. All’inizio del conflitto l’ambasciatore italiano in Ucraina ci ha fornito una lista di aziende nazionali che hanno delocalizzato in questo Paese. Con questa opera abbiamo lanciato un’allerta. Tali aziende sono a rischio malware. L’Acn nasce il 27 dicembre scorso proprio perché la cybersicurezza è sicurezza collettiva. Riguardo la difesa Ue in ambito cyber, questa si è evoluta con una serie di legislazioni europee in modo coerente. Faccio riferimento alla direttiva Nis, al Cybersecurity act ad esempio. Quando si ragiona a livello di esercitazioni sulla cyber, per testare capacità di risposta del sistema ragioniamo in termini di centinaia di incidenti che avvengono allo stesso tempo. Con il DL 82 abbiamo sopperito alle problematiche a cui andavano incontro con gli altri paesi attraverso strumenti di coordinamento rafforzato. Il problema che persiste è che l’Europa ha un ritardo tecnologico su molti altri paesi. Il rischio tecnologico, diverso da quello cyber, parte quindi da un primo punto, la diversificazione: mai basarsi su un fornitore singolo, ma uno sviluppo autoctono di certi sistemi ci garantirebbe di navigare meglio in questo mare complesso. Guardiamo chi sono i produttori di chip, o i fornitori di cloud. L’Europa non è pervenuta. Bisogna dunque ragionare in termini di sovranità digitale in base a due condizioni: avere una parte di tecnologia interna ed una europea».
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* con il contributo di Emilio Pietro De Feo
Redazione
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