Il dialogo libico naviga a vista

Una serie di incontri diplomatici è sfociata in un dialogo intra-libico su transizione politica, economia e questioni militari. Dopo alcuni successi iniziali i progressi sembrano arenarsi, soprattutto attorno al consiglio presidenziale e al ritiro dei mercenari stranieri. Su tutto pesa la contesa a distanza tra Stati Uniti, da un lato, e Russia e Turchia dall’altro.

1. L’ESCALATION DEL DIALOGO

A quasi dieci anni dalla caduta di Gheddafi e sei dall’inizio della guerra civile il processo di pace libico è finalmente iniziato. Con l’abbandono della soluzione militare al conflitto si conferma la direzione intrapresa dalle Autorità di Tripoli e Tobruk con il comunicato del 21 agosto scorso, come indicato in precedenti analisi. Da settembre a oggi le conferenze diplomatiche per la Libia si sono susseguite tra Rabat, Ginevra e Tunisi con alcuni risultati iniziali. Il 23 ottobre il Governo di Tripoli (GNA) e l’esercito della Cirenaica (LNA), guidato dal Maresciallo Haftar, hanno firmato l’accordo per il cessate il fuoco, consolidando così la fase di non-belligeranza che si protraeva fin dall’estate. Sul lato economico un corollario fondamentale dell’accordo ginevrino è stato il via libera alla riapertura dei pozzi petroliferi da parte di Khalifa Haftar dopo mesi di chiusura. Sul piano militare, invece, le parti si sono impegnate a ritirare le rispettive forze dalla linea del fronte e ad acconsentire alla riapertura di voli e vie di collegamento tra est e ovest della Libia. Infine le decisioni sull’assetto politico transitorio sono state demandate al Forum per il Dialogo Politico Libico organizzato a Tunisi dalle Nazioni Unite con 75 delegati provenienti dalla società civile libica.

Fig. 1 – La Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU, Stephanie Williams, alla conferenza stampa conclusiva del primo round del Forum Libico per il Dialogo Politico a Tunisi, 16 novembre 2020

2. PROGRESSI E OSTACOLI

Il primo round di negoziati del Forum ha partorito delle decisioni sostanziali sul consiglio presidenziale transitorio e sulla data delle future elezioni presidenziali e parlamentari (24 dicembre 2021). Optando per un’opzione in stile bosniaco, proprio a 25 anni dagli Accordi di Dayton, il consiglio presidenziale deciderà infatti all’unanimità e sarà composto da tre personalità provenienti dalle tre grandi regioni del Paese, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Manca tuttavia l’accordo sul meccanismo di selezione dei tre Presidenti e sui nomi dei papabili, in particolare su Fathi Bashagha, Ministro degli Interni tripolino che ambisce alla premiership ad interim, ma rimane osteggiato da Egitto ed Emirati. Allo stesso tempo crescono le fughe di notizie e le accuse di corruzione dei delegati. Da Brega, invece, il Comitato per gli Affari Economici ha rotto l’impasse sull’annoso problema degli introiti petroliferi, attualmente congelati in attesa di accordo. Secondo il comunicato rilasciato il 1° dicembre la ripartizione verrà gestita da un comitato congiunto formato da alti funzionari di Tripoli e Tobruk. Tuttavia restano in sospeso le questioni legate alla riunificazione della Banca centrale, del prezzo di cambio e soprattutto dei debiti pubblici. Infine il fronte securitario sembra quello maggiormente arenato. La Commissione Militare Congiunta aveva predisposto una road map per il graduale ritiro delle forze straniere dal Paese, ma la sua implementazione è stata solo parziale.

Fig. 2 – Mappa degli schieramenti in Libia dopo l’arrestarsi dell’avanzata delle truppe di Tripoli supportate dall’intervento turco. Mappa rilasciata da Al Jazeera, 19 giugno 2020

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3. OSPITI INGOMBRANTI

Qui entrano in gioco le potenze esterne. Le difficoltà sulle questioni militari infatti rivelano quanto le fazioni libiche abbiano un controllo molto limitato, se non nullo, delle forze straniere impiegate al loro fianco. Allo stesso modo è ormai evidente che Turchia e Russia non abbiano intenzione di abbandonare le posizioni faticosamente conquistate nel corso della guerra, in uno Stato perno per gli equilibri del Mediterraneo. Tra l’estate e oggi entrambe le potenze hanno consolidato la loro presenza militare nel Paese, rispettivamente nella base turca di Wutiya e in quella russa di Jufra. È appunto all’espansione di Ankara e Mosca che si deve l’improvviso interesse statunitense per la pace in Libia. Washington ha infatti aumentato la pressione diplomatica su attori interni e alleati esterni affinché aderiscano al processo di pace delle Nazioni Unite, ora guidato dalla statunitense Stephanie Williams. Ciononostante un simile impegno non s’improvvisa e Turchia, Russia ed Egitto continuano a coordinarsi in parallelo al processo. In conclusione, al di là del consenso attorno al cessate il fuoco, il processo di pace libico naviga a vista tra la diffidenza delle fazioni libiche e la contrapposizione tra Stati Uniti e l’asse russo-turco.

Immagine di copertina: “Tripoli old city” by Ziad FMA is licensed under CC BY

Corrado Cok. Pubblicato su Il Caffè Geopolitico