Esce il 6 marzo nelle librerie per Dittatura finanziaria. Il piano segreto delle élite dietro la crisi economica per conquistare il potere, scritto da Francesco Maria Toscano.
Il saggio parte da tre concetti base. Il primo: la crisi dell’Europa a cui assistiamo ormai da anni non è solo una questione meramente economica. Il secondo: l’austerità non è, né sarà mai, sinonimo di crescita con buona pace per i “giudici” della Troika. Il terzo: il “terrorismo economico” – che dal 2008 ha asfaltato buona parte delle certezze dell’Occidente – e il “terrorismo politico-jihadista” – che sta ridisegnando la mappa del Medio Oriente mandando definitivamente in soffitta i confini tracciati nel 1916 con gli accordi di Sykes-Picot – non sono due mondi a parte, ma sono anzi collegati e, in diversi casi, si alimentano a vicenda.
Messi insieme, questi tre concetti apparecchiano una scena del delitto perfetta. Da un lato ci sono le vittime come la Grecia, nazione usata come “cavia da laboratorio”. Dall’altro i carnefici, ovvero dinastie di industriali e finanzieri che pilotano le sorti del mondo seduti comodamente dentro una cabina di regia globale.
Nello scrivere questo libro Toscano ha dismesso i panni dell’avvocato per indossare quelli del giornalista. Lo ha fatto con il puntiglio di chi conosce il mestiere e, al contempo, con la lucida follia di chi non ha paura di essere tacciato di complottismo dagli animatori del mainstream mediatico.
Ecco uno stralcio della prefazione al libro che pubblichiamo su gentile concessione dell’autore e della casa editrice Uno Editori.
In genere, quando si affrontano temi tacitati dal circuito informativo “mainstream”, scatta in automatico l’accusa di “complottismo”. Si tratta di un abusato espediente retorico che permette alle classi dominanti di imporre un pensiero unico facendo finta di garantire contestualmente il pluralismo delle informazioni. L’accusa di “complottismo” sta alla comunicazione così come l’accusa di “populismo” sta alla politica, esasperazioni narrative che servono solo ad inquinare i pozzi e ad evitare che le masse vengano a conoscenza di punti di vista alternativi in grado di far germogliare un pensiero critico potenzialmente capace di mettere in discussione l’ordine costituito.
D’altronde, a pensarci bene, appare assai più improbabile e strampalato, passato quasi un decennio dall’inizio di questa fantomatica “crisi”, continuare a credere che l’austerità serva per davvero a far ripartire la crescita. Dovunque le politiche neoliberiste abbiano attecchito, grazie al consenso complice di classi dirigenti locali asservite e corrotte, abbondano disastri economici e sociali. Eppure, nonostante le innegabili evidenze empiriche, c’è ancora chi insiste nel difendere alcune impostazioni già miseramente fallite.
Assodata l’inefficacia delle famose “riforme strutturali”, tutte protese verso l’annullamento del welfare, lo svuotamento della democrazia sostanziale, la limitazione dei diritti e l’impoverimento dei cittadini, non resta che domandarsi: perché insistono? Forse perché solo al riparo di una provvidenziale emergenza creata in vitro è possibile implementare misure antiumane altrimenti ingiustificabili? E poiché le soluzioni adottate in concreto per “arrestare la crisi” non hanno fatto altro che moltiplicare il danno, non è giusto domandarsi la vera ratio di alcune scelte che di scientifico e razionale non sembrano avere proprio nulla?
Non ci vuole un master in economia per sapere che applicando l’austerità in un periodo di recessione si finirà con l’ampliare a dismisura gli effetti della crisi. Lo dicono da molto tempo economisti seri come Krugman e Stiglitz, facili profeti di una catastrofe ogni giorno più evidente.
Quindi le nostre classi dirigenti applicano politiche dolosamente pensate per fallire, per far esplodere cioè disoccupazione, tasso di mortalità infantile e numero dei suicidi. Perché lo fanno? Forse perché intendono regolare una volta per tutte i conti con le classi subalterne uscite con le ossa rotte dalle lotte novecentesche? Può darsi, ma tale spiegazione da sola non basta. Dietro l’ansia di smantellare tutte le conquiste sociali dell’ultimo secolo si intravede un fanatismo sospetto che tradisce un odio profondo contro l’Uomo. Un fanatismo che rischia di condurre l’Europa alla catastrofe totale.
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