Come recita la sua biografia ufficiale «Donald J. Trump è la definizione stessa di una storia americana di successo, impostata continuamente sugli standard di eccellenza, e con interessi in espansione nel settore immobiliare, dello sport e dell’intrattenimento». E della politica, dovremmo aggiungere oggi. «Lui è l’archetipo del businessman, un creatore di affari senza pari» aggiunge poi il profilo della Trump Organization, la società ereditata dal padre e di cui oggi il magnate newyorchese è a capo, insieme alla famiglia.
Fa riflettere proprio quest’ultimo passaggio. Donald J. Trump è l’archetipo del businessman. Forse proprio per questo è riuscito a “vendere sogni” agli americani durante la campagna elettorale che lo ha visto poi trionfare contro la democratica Hillary Clinton nel novembre del 2016.
Se in Italia siamo abituati agli istrioni e ai parvenu della politica, non è esattamente così negli Stati Uniti. Eccezion fatta per la California, ovviamente, che ha prodotto il governatore Arnold Schwarzenegger e soprattutto il governatore e poi presidente Ronald Reagan.
Oggi nell’America dei grandi agglomerati urbani e delle tensioni razziali, tutti continuano a chiedersi allibiti: che ci fa un imprenditore che ama il jet set alla Casa Bianca? E, al contempo, cosa ha davvero in comune con i repubblicani? Uno che in passato non solo ha fatto numerosi cameo per la televisione e il cinema (Sex and the city e il sequel di Mamma ho perso l’aereo su tutti), ma ha sostenuto a lungo i democratici e ha persino finanziato Hillary Clinton.
La risposta è forse nel deserto d’idee che ha contraddistinto le linee politiche dei conservatori degli ultimi otto anni, tanto da essere insidiati in casa propria da un partito ribelle, il Tea Party, che prometteva miracoli e che pare essersi già sgonfiato. O forse, come recita una canzone di Bruce Springsteen, “poor man wanna be rich, rich man wanna be king, and a king ain’t satisfied, till he rules everything”. Il ricco vuol essere re e non sarà soddisfatto finché non avrà tutto. E dire che il nostro ha già molto.
Ma chi è davvero Donald Trump? Ha iniziato la sua carriera in un ufficio che condivideva con il padre Fred a Sheepshead Bay, a Brooklyn, New York. Ha lavorato al suo fianco per cinque anni, e di lui diceva: «è stato il mio mentore, e da lui ho imparato una quantità enorme di cose su ogni aspetto del settore edile». Allo stesso modo, Fred C. Trump spesso affermava: «alcuni dei miei migliori accordi sono state conclusi da mio figlio, Donald. Tutto ciò che tocca sembra trasformarsi in oro». E, in effetti, Donald Trump ha costruito grandi fortune, soprattutto una volta entrato nel mondo immobiliare di Manhattan, dove la firma Trump è sinonimo dei più prestigiosi indirizzi. La Trump Tower sulla celebre Fifth Avenue; gli edifici residenziali di lusso di Trump Parc e Trump Palace; Trump Plaza sulla 610 Park Avenue; The Trump World Tower, l’edificio più alto sulla East Side; e ancora il Trump Park Avenue e il terreno sotto l’Empire State Building. E ciò vale solo per la città di New York, ma il suo marchio è ovunque in America e nel mondo (a Las Vegas il suo grattacielo a vetri è colorato d’oro).
Così, “The Donald”, come lo soprannominò a suo tempo la moglie Ivana, nonostante i clamorosi scivoloni e i presunti scheletri nell’armadio, ha chiuso oggi 20 gennaio 2018 il suo primo anno alla guida della Casa Bianca. In questi dodici mesi la sua politica ha continuato a stupire e a spaccare l’elettorato, con quel fare da bullo e con quelle strane idee sulle tasse che non sono certo nella tradizione dei repubblicani, al contrario della sua opinione radicale sugli immigrati.
Lui, d’altronde, era talmente sicuro di vincere molto tempo prima delle elezioni del 2016, al punto che lungo Pennsylvania Ave NW, ovvero la strada che dalla Casa Bianca porta al Congresso degli Stati Uniti, aveva visto bene di acquistare e ristrutturare il magnifico vecchio Ufficio delle Poste per farne il più grandioso dei suoi hotel di lusso. Il resto è storia dell’ultimo anno.
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