Biden ha vinto grazie ai voti dell’87% degli afro-americani, del 56% delle donne e del 63% dei latinos e degli asiatici. In America, negli ultimi cinque anni, il numero di aziende avviate da afro-americane è cresciuto del 50% e l’80% delle madri nere rappresenta il lavoratore principale della famiglia.
Con l’ormai avviata transizione dei poteri, negli Stati Uniti si sta assistendo ad un cambio di rotta rilevante nell’ambito della politica interna. Stando al programma del presidente eletto, l’esecutivo si impegnerà principalmente a ripensare la distribuzione del carico tributario, con l’obiettivo sotteso di “ricostruire la classe media”. In linea con i presupposti, vi è la proposta di un college gratuito per i figli provenienti da famiglie con un reddito inferiore ai 125 mila dollari annuali ed una radicale ridefinizione della politica estera e migratoria, che vede nei migranti una potenziale risorsa identitaria per il paese.
Il nucleo di istanze portate avanti dal partito democratico è connesso a doppio filo al tema, piuttosto urgente, del razzismo strutturale presente nel paese dal momento della sua nascita. Biden si definisce come il candidato che si batte per le minoranze fin dall’inizio, al punto da aver sfiorato anche qualche eccesso quando arrivò ad affermare che «chi è indeciso se votare per me o Trump non è un vero nero».
I risultati l’hanno premiato comunque. Biden ha vinto grazie ai voti dell’87% degli afro-americani, del 56% delle donne e del 63% dei latinos e degli asiatici, più il 61% dei voti della comunità lgbtq+. Con una campagna elettorale avvenuta sullo sfondo delle proteste di Black Lives Matter, Trump e Biden si sono divisi non solo i campi d’interesse, quasi esclusivi, ma anche la popolazione target alla quale puntare. Il primo si è rivolto ai giovani, e meno giovani, americani bianchi della classe media, il secondo alla parte afro-americana ed ispanica del paese, con un particolare coinvolgimento dell’elettorato femminile.
Le ultime stime sulla popolazione degli Stati Uniti ci mostrano che, attualmente, i bianchi non ispanici rappresentano poco più del 60% della totalità dei residenti, mentre i numeri si abbassano di molto se si parla dei bambini di età inferiore ai 15 anni (49,9%). Il quadro è quello di un paese in cui la popolazione bianca sta inevitabilmente invecchiando e lasciando spazio allo sviluppo sociale ed economico agli altri gruppi etnici, in attesa di diventare una minoranza presumibilmente entro il 2045.
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Con la consapevolezza dei cambiamenti in atto, Trump si è impegnato a coltivare il suo seguito anche all’interno della comunità dei neri americani: nonostante questa raccolga ancora la maggioranza dei suoi detrattori e nonostante sia stato calcolato che solo il 14% degli afro-americani approvi la politica tenuta dal presidente nel corso del suo mandato, egli è riuscito ad aumentare la fiducia di questa parte di elettorato dall’8 al 10%. Sembra inoltre che circa la metà degli intervistati non simpatizzi per l’ultimo Trump ma si continui a definire repubblicana.
«La gente non si rende conto che prima che Trump diventasse presidente, la comunità nera lo amava già. Tutti volevano essere come lui, perché era un uomo di affari di successo». Così ha riferito al Washington Post Terrence K. Williams, comico, sostenitore di Trump e nero. Gli endorsement ricevuti da altri personaggi noti come Lil Wayne e 50 Cent confermano la tendenza. Un grande ruolo è stato anche giocato dall’enorme pubblicità fatta al Platinum Plan, in cui si promettono 3 milioni di posti di lavoro riservati alla black community.
Una storia fatta di quartieri separati, inaccessibilità ai servizi più basilari della società civile e, soprattutto, la separazione delle scuole, ha condotto nel tempo alla profonda interiorizzazione di un sentimento di inferiorità da parte della maggioranza della popolazione discriminata, che reagisce spesso emulando il modello di riferimento.
L’eredità della segregazione si sente ancora oggi e molti neri americani hanno dei seri dubbi sul fatto che la discriminazione possa mai cessare davvero. Nonostante ciò, l’aumento del generale accesso all’istruzione ha condotto ad una maggiore sensibilità al tema e alla disposizione ad avere uno sguardo più critico sulla società, ne deriva una coscienza più completa degli effetti ancora presenti della passata mentalità schiavista e separatista. A beneficiare in maggior modo di quest’aumento di consapevolezza, in forza della loro doppia appartenenza a dei gruppi minoritari, sono le donne nere.
Mentre quindi l’etica conservatrice generalmente basata sullo stampo “law and order”, sull’idea del “farsi da soli”, sull’aumento del guadagno economico e su un generale desiderio di dominio patriottico può risultare appetibile alla maggioranza dell’elettorato maschile, di qualsiasi etnia esso sia, la controparte femminile non può che rimanere scettica di fronte alla reiterazione di presupposti che non prendono nemmeno in considerazione i bisogni più urgenti delle donne.
Anche se si sta ancora attendendo la parità salariale, le imprese di proprietà femminile rappresentano oggi il 42% di tutte le imprese della nazione, il tasso di disoccupazione tra le donne nere ed ispaniche continua a diminuire e aumenta il numero di iscritte all’università. Le donne nere si trovano inoltre a capo dell’89% delle attività commerciali aperte lo scorso anno.
In America, negli ultimi cinque anni, il numero di aziende avviate da afro-americane è cresciuto del 50% e l’80% delle madri nere rappresenta il lavoratore principale della famiglia. Trump non lo ha tenuto in considerazione.
Quando la vicepresidente Harris è nata, nel ’64, le persone come lei non avevano ancora il diritto al voto. Il suffragio è stato esteso alle donne attraverso l’approvazione del Diciannovesimo Emendamento nel 1920 in conclusione alla prima ondata femminista, ma per quanto riguarda gli afro-americani, donne comprese, si è dovuto aspettare il Voting Rights Act del ’65. Dal 1980, invece, le donne hanno iniziato a votare stabilmente in percentuale maggiore rispetto agli uomini, così è stato anche per le elezioni presidenziali del 2020.
Quest’anno, in più, abbiamo visto il record di donne candidate al Congresso, con un totale di 134 seggi di cui 102 democratici e 32 repubblicani. Sono aumentate le presenze delle native americane, che hanno varcato la soglia del Congresso per la prima volta con Deb Haaland e Sharice Davids nel 2018. In New Mexico, dov’è stata eletta Haaland, è stata formata per la prima volta nella storia del paese una delegazione di sole donne. Nel Missouri l’attivista Cori Bush è diventata la prima donna nera a rappresentare il suo distretto, mentre Sarah McBride è entrata nella storia come prima senatrice statale transgender della nazione, nel Delaware.
Una percentuale sempre maggiore di cittadini, soprattutto fra le nuove generazioni, si sta trovando sempre più rappresentata dalle istanze dell’ormai popolare “Squad”, il nucleo del fiorente movimento riformista al Congresso, capeggiato dalla giovane Alexandria Ocasio-Cortez e finalizzato a riportare in auge la visione socialista di Bernie Sanders.
FILE – In this Jan. 27, 2019, file photo Cori Bush poses for a portrait to promote the film “Knock Down the House” at the Salesforce Music Lodge during the Sundance Film Festival in Park City, Utah. Bush, a onetime homeless woman who led protests following a white police officer’s fatal shooting of a Black 18-year-old in Ferguson, Mo., ousted longtime Rep. William Lacy Clay Tuesday in Missouri’s Democratic primary, ending a political dynasty that has spanned more than a half-century. Bush’s victory came in a rematch of 2018, when she failed to capitalize on a national Democratic wave that favored political newcomers such as Bush’s friend, Rep. Alexandria Ocasio-Cortez. (Photo by Taylor Jewell/Invision/AP, File)
Chiara Pretto
Nata in provincia di Vicenza nel 1994. Laureata al Dams di Bologna con una tesi sulla semiotica del potere, si interessa prevalentemente di Nord America e Medio Oriente. Ha lavorato per un po' in Israele.
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